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martedì 27 novembre 2012

L'isola di Sciacca


REGNO DELLE DUE SICILIE, 1831 - Quell’estate in Sicilia la terra tremò.
Da Agrigento a Palermo le case si svuotarono e la gente terrorizzata andò a dormire fuori, all’aria aperta, dove capitava. 
In quei giorni a Sciacca, pochi chilometri a nord ovest di Agrigento, i pescatori che rientravano dalla pesca raccontavano del mare in ebollizione e di zone in cui i pesci salivano a galla morti, di una violenta puzza di marcio e di morte, di colonne di fumo che si alzavano lontano all’orizzonte, lì dove c’era solo mare.
Il parroco del paese raccolse tutte le donne e i bambini sulla spiaggia e cominciò a pregare e a dir messa.
I vecchi, mentre riparavano le reti, decisero che era meglio smettere di bestemmiare e qualcuno cominciò a diffondere la voce che Napoleone era tornato dall’inferno e stava preparando il suo ritorno.
In molti annunciarono la fine del mondo: era il risveglio del terribile leviatano, del basilisco, oppure Medea e i cavalieri dell’Apocalisse.
Onde senza senso percorrevano il mare. Arrivavano all'improvviso, anche nelle notti senza vento.
A tramonti infuocati si susseguivano tremebonde aurore boreali che spingevano stille di paura sempre più a nord, fino a Roma e Firenze.
Alcuni andarono ad affilare la sciabola, altri andarono a confessare i propri peccati, qualcun’altro ancora armò un gozzo e andò a vedere da vicino.
Era luglio, 17 il giorno, la festa di Sant’Alessio cadeva di domenica. Sotto lo sguardo terrorizzato dei pescatori, in un mare che ribolliva di fuoco, proprio a metà strada tra Pantelleria e Sciacca, in un solo giorno emerse dal mare una nuova isola.
Fu immediatamente spedito a Napoli un messo per comunicare la notizia a re Ferdinando II.

- Maestà, sono venuto a comunicarvi che dal mare di Sicilia è nata una nuova isola ad ingrandire il vostro regno.
- 'Azz!
- Gli inglesi già la chiamano isola di Graham, i francesi la chiamano isola Julia e la reclamano, i vostri sudditi siciliani che mi hanno mandato propongono alla vostra maestà di chiamarla isola di Sciacca, e chiedono di occuparla per non consegnarla agli stranieri.
- 'Azz!
- E’ una terra brulla e senz’acqua da bere, solo cenere, lava, lapilli, sabbia e due laghetti di acqua acida e salata. E’ alta quasi 30 canne e ci si può camminare intorno per 6.000 passi . E' da Sciacca che è partita la prima esplorazione e il comandante Fiorini ha piantato sull’isola un remo in segno di primo scopritore e di presa di possesso in nome di vostra maestà!
- 'Azz!
- Anche gli inglesi sono sbarcati e il comandante Jenhouse ha piantato la sua bandiera sull’isola per farne un avamposto militare vicino alle nostre coste, i francesi pure sono sbarcati e continuano a fare mappe e dipinti.
- 'Azz!

Era di poche parole il re quel giorno.
Non riuscì a dire altro, il messo.
Solo dopo un mese Ferdinando II decise di annettere l’isola al proprio regno col nome di Ferdinandea, in onore di se stesso, e inviò una corvetta con lo stendardo dei Borboni a prendere possesso dell’isola.
I siciliani continuavano a chiamarla semplicemente isola di Sciacca e tra le cancellerie europee iniziò a serpeggiare il rischio di un grave incidente diplomatico.
Ma il mare decise da solo.
Un inverno agitato e malmostoso consumò l’isola che a dicembre, un granello alla volta, il giorno della festa  dell’Immacolata, scomparve sotto gli occhi dei suoi pretendenti.

venerdì 5 ottobre 2012

L'America's Cup a Napoli in quattro foto

Siamo a metà strada tra le regate di Napoli dello scorso aprile e le prossime previste nel mese di maggio 2013. Nel frattempo le regate sono andate avanti a Venezia e poi negli USA e la folla di spettatori sta dando ragione a questa formula che porta le vele fin dentro le città. Ne sono contento perchè tutto ciò allarga la partecipazione e la comprensione delle regole e dei valori dello sport della vela. Del resto questo circuito rappresenta per la vela quello che la Formula 1 rappresenta per l'automobilismo, e può certamente contribuire a far avvicinare spettatori, sponsor e nuovi praticanti.
In Nuova Zelanda e a San Francisco hanno messo in acqua i nuovi AC72 e stanno provando l'affidabilità delle nuove barche, le manovre con l'equipaggio completo e staranno sicuramente tentando di abituarsi alle nuove velocità. A breve è previsto il varo del 72 piedi del team Luna Rossa che intanto ha concluso una campagna acquisti di tutto rispetto che, sulla carta, sembra poter competere alla pari con Team Oracle e Team New Zealand.
Intanto, spulciando tra le vecchie foto, ne ho tirate fuori alcune che accompagno con mezze parole sentite a Via Caracciolo (a volte inventate) o che mi sono state raccontate da chi girava da quelle parti.


Di spalle non si vede niente

"Ma così non va bene!"
"Lo so, lo so, ma ormai non si può fare niente"
"Lo vedi che non c'è vento!"
"Si, ma sta così da tanto..."
"Mo' scendo io sugli scogli e lo giro"
"Ma è fissato con il cemento!"
"Scusate ma a chi volete girare?"
"A Padre Pio, è logico... Così fa uscire il vento e si vede le regate..."
"E se tiene genio* fa pure vincere a Luna Rossa!" 

(*) voglia, in italiano


Il mare fatto a scale

"Certo che è stata proprio una grande idea!"
"No, è che gli hanno messo gli occhi addosso"
"A chi?"
"Al Sindaco"
"E che c'entrano gli occhi. Se tu arrangi una specie di porticciolo in mezzo a Via Caracciolo è normale che appena entra il Libeccio sbatte tutto e non si può fare più niente"
"E proprio oggi doveva venire il Libeccio..."
"Ma le barche non le potevano mettere nel porto? Mi sembra la cosa più logica. Un pescatore mi ha detto che li fanno apposta..."
"Cosa?"
"I porti. Li fanno per metterci le barche"
"Va beh, hai voglia di scherzare."
"No, parlo seriamente. Se avessero stabilito l'area tecnica nel porto oggi (sabato 14 aprile -ndA) si sarebbero potuti mettere i catamarani in acqua e si sarebbero tenute le regate. E invece siamo qui ad aspettare che il comitato annulli le prove di oggi. A me dispiace!"
"Anche a me!"
"Però sai che tuffi ad agosto..."


Posti a sedere

"Tonì, io ne posso portare al massimo due. Mi piglio quello della nonna, che tanto a lei non ci serve, e quello del negozio di papà"
"Va buò, però così dobbiamo alzare i prezzi. Per un posto a sedere ci dobbiamo prendere 100 euro al giorno o 60 per mezza giornata. Io invece ne metto tre"
"E dove li pigli?"
"Questi sono fatti miei"
"E no, se vuoi il 60 per cento della società lo voglio sapere prima che intenzioni hai!"
"Te lo dico Michè, ma l'idea è mia. Uno ce l'ho a casa, e questo è facile. Il secondo sta nel garage di mio cugino; è tutto scassato ma l'aggiusto io, e poi deve durare giusto tre giorni. Il terzo lo prendo nuovo da Gargiulo con la prova"
"E che significa con la prova?"
"Che gli dico: don Rafè io questo scaletto lo prendo per mia nonna che ha le mani deboli. Glielo porto ad Avellino. Se va bene e ce la fa ad alzarlo lunedì quando torno ve lo pago, se no ve lo riporto"
"Ah, allora gliela paghi con i soldi dell'affitto degli scaletti a Via Caracciolo!"
"No Michè, non hai capito. Io i soldi me li tengo e lo scaletto glielo riporto. Che me n'aggia fà dello scaletto dopo lunedì?"


La pizza del Re

"Vi piace?"
"Bella è bella! Però mo' è fredda"
"Beh, certo. Però questo è come un'opera d'arte, non si mangia,  s'adda guardà!"
"Scusate, la posso fare una fotografia?"
"Certo, mettiamoci qua con il Vesuvio alle spalle. Questo è il mio biglietto, stasera venitemi a trovare che vi faccio mangiare 'na pizza che nemmeno 'o rre!... Che stavamo dicendo? Ah si, è un'opera d'arte, per tagliare la mozzarella c'è voluta una mezz'ora! Però è una soddisfazione."
"Scusate la facciamo una fotografia insieme alla pizza?"
"Certamente, prendete il mio biglietto e venitevi a mangiare una bella pizza quando volete! Io vi preparo una pizza che nemmeno un principe reale... Dicevo, questa è una pizza da esposizione, come le torte che i pasticcieri mettono nelle vetrine. L'ho fatta apposta per venire qui a farmi fare le fotografie. E voi non la volete fare una fotografia?
"Certamente, e chi se la perde!"
"Mi raccomando che si deve vedere bene la scritta"
"Fatto!"
"Ecco il mio biglietto. A voi vi faccio lo sconto"






lunedì 1 ottobre 2012

Ludwig

“In italiano si dice Luigi. Come dite voi a Napoli?”
“Giggino, ce ne sono un paio che ultimamente ci fanno ridere parecchio. Comunque Ludwig va bene, è facile da ricordare.”
“Allora, ti piace la mia barca?”
“E’ tua? Pensavo fosse per il noleggio”
L’avevo notata da lontano, del resto le barche a vela richiamano sempre la mia attenzione e mi sono avvicinato per guardarla con calma.
Sembra un 470 un po’ vecchiotto, ha gli interni stondati e il fondo riverniciato. E’ tenuta benissimo, non manca nulla, a differenza delle barche che di solito si vedono sulle spiagge che hanno sempre qualche pezzo in meno.
C’è la targhetta del cantiere sullo specchio di poppa: l’anno di costruzione è il 1974. Guardo meglio perchè è al rovescio. Si, la barca ha proprio 38 anni ed è effettivamente un 470, evidentemente uno dei primissimi della classe.
Ludwig, che parla perfettamente in italiano, mi racconta che di solito la tiene sulle rive di un lago chiamato Bostalsee, vicino casa sua e non lontano dal confine tra Francia , Germania e Lussemburgo. Ogni anno però, quando viene a Casalvelino per le vacanze, la carica sul carrello e la portà con sè.
Dal 1980.
Faccio velocemente due conti: sono 32 anni che la porta qui, quindi probabilmente è anche il primo e unico proprietario e la tratta sicuramente bene. Certo che fa ogni anno 3.000 chilometri di autostrada, e non sono molte le barche che possono vantarsi di un simile record su strada!
“No, è mia - mi dice Ludwig - Mi piace molto navigare con la mia barca lungo queste coste. Ormai, dopo tutti questi anni, siamo vecchi amici. Tu sai andare a vela?”
“Si.”
“Vogliamo fare un giro?”
Fuori il vento si sta stendendo dolcemente e la termica oggi è gentile. Sembrano le condizioni ideali per vedere se è possibile usare un 470 per fare piccolo cabotaggio.
“Ok, dammi il tempo di avvisare. Ci vediamo qui tra mezz’ora.”
Quando torno in spiaggia trovo la barca sulla riva perfettamente armata.
“Beh,sai – mi dice Ludwig – mi sono fatto aiutare dal bagnino. Non avevo altro da fare e poi ho voglia di uscire il più presto possibile, negli ultimi giorni è piovuto e sono stato costretto a restare in spiaggia.”
Mentre parla mi porge un gilet a righe orizzontali. Quando lo prendo mi accorgo che è un giubotto salvagente - credo abbia la stessa età della barca - e che ormai non sarebbe accettato nemmeno nelle regate del Club Med. Comunque è decisamente vintage e lo indosso per essere a tono con la barca.
La spingiamo in acqua e Ludwig mi fa segno di salire.
Eseguo con un filo di apprensione, pronto a intervenire se qualcosa dovesse andare storto.
Metto giù un po’ di deriva, Ludwig dà la spinta finale e salta su dallo specchio di poppa con inaspettata agilità. Blocca il timone e mi accorgo che è rimasto in ginocchio sul fondo della barca dove aveva sistemato un altro salvagente come cuscino. Furbo il tedesco, questa cosa non la insegnerei a dei ragazzini ma per lui funziona egregiamente. Oramai l’acqua è abbastanza alta per abbassare tutta la deriva e, dopo aver messo le vele a segno, viriamo per allontanarci dagli scogli.
Quando siamo abbastanza lontani dalla riva mi chiede se voglio timonare. Accetto e ci scambiamo di posto.
“Ehi Ernesto, conosci la storia di Velia?”
“Qualcosina, ricordo che i Greci la chiamavano Elea e qui sono nati Parmenide e Zenone.”
“Si, il nome è stato poi modificato dai Romani. Se vuoi te la racconto.”
“Ok, intanto vado verso Ascea così ci passiamo davanti.”
“ La città fu fondata dai Focei, una popolazione originaria dell’odierno golfo di Smirne in Turchia. Come dicevi tu, nel V secolo avanti Cristo divenne un importante centro filosofico e culturale.
Con Roma intrattenne sempre ottimi rapporti e divenne luogo di villeggiatura e cura per gli aristocratici, grazie anche alla presenza della scuola medica. La prosperità della città continò fino a tutto il primo secolo quando si costruirono numerose ville, terme ed edifici pubblici.
Poi la decadenza. La costruzione di una nuova via di comunicazione che collegava Roma con il Sud Italia taglia fuori Velia. La città si spopola e le terre vengono abbandonate e diventano paludi.
Nel 1700 non ci sono più tracce di Velia e dei suoi abitanti, e solo gli scavi iniziati il secolo scorso hanno portato alla luce i resti dell’antica città."
L'accento tedesco è mitigato dal sorriso. Si vede che è innamorato di questo posto. 
“Però... quante volte sei stato a visitare gli scavi?”
“Non lo so, però sono belli, vai a vederli appena puoi. Quella torre laggiù è di epoca medievale e gli scavi sono proprio là dietro.”
Sulla nostra prua, molto lontano, c’è Capo Palinuro e Ludwig comincia a raccontarmi di una disatrosa gita (come la chiama lui) fatta dieci anni prima proprio da quelle parti quando fu sorpreso da un temporale mentre cercava di tornare a Casalvelino. Immagino che affrontare un temporale con un 470 non sia bello ma non riesco proprio a capire perchè sia andato così lontano con quella barca e alla sua età...
“A proposito Ludwig, toglimi una curiosità, ma quanti anni hai?”
“ 77 ”
“ 'Azz!”

mercoledì 8 agosto 2012

Vindicio, la palestra del vento

Quest'anno, forse ispirato dalle incombenti Olimpiadi, mentre ero in spiaggia con la mia famiglia, ho deciso di tornare a navigare in deriva (solo per gioco, per carità) e da Gaeta sono andato a Formia, sulla spiaggia di Vindicio.
Lo spiaggione è famoso soprattutto tra quelli che vanno in windsurf, perchè c'è sempre vento e l'onda non ha quasi mai il tempo di formarsi, ma lì hanno sede anche un paio di circoli e scuole FIV che utilizzano barche legate all'attività olimpica, vecchie derive, catamarani e skiff. Quello che cerco è un 470 o qualcosa che gli assomigli e, ovviamente, un timoniere.
Eh già, perchè al trapezio a fare le capriole ci voglio andare io.
Faccio conoscenza con Manuel e Marco di VelaViva e prendo accordi per alcune uscite sul 420 della scuola. 
L'ambiente mi è familiare. Chissà perchè tutti i posti in cui si va in deriva si assomigliano. C'è il giusto grado di confusione e approssimazione e sembra sempre che manchi qualcosa ... una scotta, un timone, una vela, un allievo...
Il 420 è una barca nervosa, leggera e tutto sommato con poche regolazioni. Questo in particolare è abbastanza scassato e un trapezio è senza maniglia. Galleggia, mi sembra un buon inizio.
Le uscite sono divertenti, riprendo confidenza con la barca velocemente e da subito esco al trapezio. Per fortuna abbiamo trovato un modello da uomo e riesco a stare a lungo fuori, anche se i quadricipiti cominciano a bruciare per lo sforzo e gli addominali urlano più del vento.
 La termica è puntuale ogni giorno e scopro che è molto più forte vicino alla riva, dove fa strage di windsurf per il sadico piacere di Marco che sta al timone e non si sposta mai per evitarli ("Ernè, io a questi proprio non li sopporto!"), nemmeno quando vede il terrore nei loro occhi e solo all'ultimo istante orza di un paio di metri per passargli accanto.
Il Monte Orlando, sopra Gaeta, copre l'area del porto e crea grossi buchi di vento a ponente. Il centro è occupato da uno sterminato campo di cozze e da un allevamento ittico con un passaggio nel mezzo. Il monte Gianola, lontano, chiude il golfo a levante.
Un bel giorno trovo sulla riva, mezzo armato, un 470 e Marco mi dice: "E' la barca di Manuel, oggi proviamo con questa!".
Fuori ci sono 15 nodi e dal trapezio mi sgancio solo per le virate. La barca è più stabile dell'altra, sembra nuova tanto è tenuta bene e soprattutto plana solo a guardarla. A circa tre miglia fuori a Sud ci sono i Mondiali Master 470 e vediamo gli equipaggi in regata. Dico a Marco di stare lontano e dopo un po' mi accorgo che è come con mio figlio, non mi ha proprio ascoltato.
Siamo in poppa in mezzo al campo di regata con la flotta che sale di bolina. Io potrei anche gareggiare vista l'età, Marco no. Insomma siamo le persone sbagliate nel posto sbagliato. L'equipaggio della Nuova Zelanda ci guarda perlesso. Io saluto perplesso (provate a immaginare un saluto perplesso) mentre sfiliamo di poppa e dico a Marco: "Ma non dovevamo fare bolina fino a punta Stendardo? E soprattutto che ci facciamo qui?"
"Ci sono venuti incontro velocissimi e non sono riuscito ad evitarli..."
Zandonà - Zucchetti, l'equipaggio del 470 olimpico
Dopo aver seminato il panico nella flotta riusciamo ad uscire senza aver fatto danni e ci dirigiamo verso il circolo.
Ora provate ad immaginare: al traverso con 15 nodi e senza onda, io al trapezio con il peso tutto a poppa accanto al timoniere alle cinghie e la barca che parte in una planata infinita; tutto lo sforzo è concentrato sugli addominali e sono quasi parallelo al mare per tenere la barca piatta con  gli spruzzi d'acqua che partono dal centro barca e mi colpiscono in pieno, sto sotto una cascata. E' una sensazione bellissima e quasi non avverto la stanchezza. Andiamo avanti per parecchi minuti, non saprei dire quanti, a una velocità folle e molliamo le scotte solo quando gli scogli sono vicini.
Capisco, guardandolo, che anche per Marco è stata una planata da incorniciare e ridiamo come due bambini. Riprendiamo la bolina e lo rifacciamo.
Nei giorni successivi esco anche con Manuel un paio di volte ma non troveremo lo stesso vento, anche se le planate non mancheranno.
Questa è Vindicio e questo è il 470.
Eh già...


lunedì 23 aprile 2012

La mia America's Cup

Ovvero come andato per guardare la regata, finii per peregrinare in terraferma


di Luciano Sabetti



- … E domani si va tutti a vedere l’America’s Cup!-

Il tono è quello delle decisioni che non ammettono repliche. Mia moglie ha elaborato e deciso tutto da sola, come sempre, e a me non resta che adeguarmi. A nulla valgono gli accenni a possibili alternative, la consorte è fermamente convinta che a un evento di cotale importanza, e per di più praticamente sotto casa, non si possa mancare. E poi, vuoi mettere il sole, il mare, Via Caracciolo libera dal traffico e piena di gente!

La gente! Un brivido mi corre lungo la schiena. Non ho ancora smaltito l’orgia di auguri, baci, abbracci e benedizioni di amici e parenti che ho incontrato e visitato a Pasqua che mi si prospetta un altro bagno di folla. Senza contare che il mio stomaco in cui trotterellano ancora allegramente il casatiello e la pastiera, senza parlare dell’inarrivabile sartù di mammà, anelerebbe a qualcosa di più leggero di un pranzo al sacco.

Nulla da fare, l’ora fatale è scoccata e non si torna indietro. Non mi resta che confidare in Giove Pluvio e nella misericordia che riserva agli escursionisti riluttanti.

Il dio però deve essersi distratto perché mi ritrovo, in un giorno di Pasquetta benedetto da uno splendido sole, a bordo della metropolitana diretto a Mergellina insieme a famiglie numerose riunite dalle feste; fidanzati in libera uscita; anziane coppie che si tengono teneramente per mano; tribù di nerd provenienti dall’hinterland, tutti che discettano di regate e di carenature, di alberi e di nodi come vecchi lupi di mare pur avendo l’aria di aver governato al massimo un canotto, e, soprattutto, tutti armati di macchine fotografiche per immortalare Luna Rossa.

Che non c’è, come non ci sono gli altri catamarani. Lo specchio di mare tra Castel dell’Ovo e Posillipo è desolatamente vuoto. L’unico natante in acqua, peraltro privo di equipaggio, è China Team che ballonzola indolente proprio davanti alla rotonda Diaz.

Lo spiazzamento è generale e la moltitudine sbanda, quasi si arresta, privata dell’oggetto dei suoi desideri. Ma non si arrende. Misteriosamente si diffonde la voce che vuole le imbarcazioni alla fonda dietro il castello, e allora la processione riprende risalendo lentamente il water front in direzione della fortezza medievale.

La litoranea è gremita all’inverosimile. Facce sorridenti di operai in gita, visi levigati di professionisti, fragranti toilette di giovani donne, sfumati effluvi di mature signore, abbigliamenti casual e capi firmati, Napoli è tutta qui, complice la crisi economica che ha tagliato i fondi per vacanze più esotiche e l’evento epocale con tanto di diretta televisiva che solletica la voglia di esserci.

Quelli che non si trovano sono i catamarani. Svaniti, non sono nemmeno dietro Megaride. Un tizio davanti a me non si dà pace, non ci sta a lasciarsi sfuggire l’occasione di fotografare la gara e ferma nell’ordine una gazzella dei Carabinieri, una volante della Polizia e un’auto della Guardia di Finanza in servizio di ordine pubblico. Chiede di Oracle, di Luna Rossa, dei neozelandesi, ma quelli lo guardano straniti. Oggi non c’è competizione, le navi, e qui i tutori dell’ordine sono unanimi nella classificazione delle barche come navi, oggi, sono ricoverate negli hangar. – Lasci perdere – fa l’ultimo agente – e si goda la bella giornata -.

Una parola! A me sta venendo l’orticaria da corteo e mi scappa pure da far pipì. La mia signora mi fulmina con lo sguardo, alla tua età non riesci ancora a trattenerla! Mogliettina cara, il dramma è che alla mia età non riesco più a trattenerla e qui attorno di bagni liberi non ce n’è neanche l’ombra. Quelli dei bar hanno una fila chilometrica e gli altri, i chimici montati nella Villa Comunale, non godono di miglior sorte.

Tant’è, non resta altro da fare che abbandonare la fiumana peregrinante per quella semi stanziale. Così mi metto in coda per una toilette mobile sotto lo sguardo di due poliziotti a cavallo, inchiodati a una fissità statuaria dalla gran gente che affolla l’ex galoppatoio borbonico. Stanno lì, fermi, immobili, celando l’imbarazzo dietro uno sguardo sdegnoso.

Sulle aiuole intanto s’imbandiscono le mense e cominciano a rimbalzare i palloni che di tanto in tanto fanno strame degli avanzi del pranzo pasquale che con amorevole cura le donne hanno cominciato a scartare dai fogli d’alluminio e dalle pellicole di plastica. E insieme alle sfere cominciano a volare gli improperi all’indirizzo degli atleti della domenica che si producono in performance il più delle volte assai miserevoli.

In una cacofonia di urla di trionfo e maledizioni raggiungo l’accampamento allestito dalla mia compagna e consumo con gran sforzo il mio pasto tra gli ululati del mio fegato che comincia una serie di carambole in segno di protesta. Decido eroicamente di tirare dritto fidando in una camomilla riparatrice al mio ritorno. Ammesso e non concesso che ci si decida di invertire la rotta.

- Che pesantezza, facciamo due passi per digerire! – Ormai la mia metà è in pieno orgasmo presenzialista e mette la prua verso l’entroterra, in direzione degli stand degli sponsor. I gadgets devono essere per lei un’attrazione irresistibile, perché fende la folla con un’ostinazione e una sfrontatezza degne della miglior causa.

-Ricordino!- esclama trionfante dopo essersi aggiudicata un cappellino e una maglietta con tanto di logo a un prezzo decisamente osceno e aver travolto un numero imprecisato di avventori meno determinati di lei.

Ostento felicità convinto che ciò segni la fine delle nostre peregrinazioni, ma la carica adrenalinica della consorte è ben lungi dall’essersi esaurita. D’improvviso il suo radar capta all’orizzonte un assembramento promettente e lei vi si dirige a tutto vapore.

- Il sindaco, c’è il sindaco! – saltella felice – Ora vado a salutarlo, certo si ricorderà di me, del resto gli ho fatto gli auguri prima della sua elezione! – e salpa alla via della figura torreggiante di LDM che avanza tra la folla di simpatizzanti e curiosi, benedicente come un papa in visita pastorale.

Un vistoso maglione rosso e un paio di occhiali scuri che gli incorniciano il volto, il primo cittadino si concede alla marea adorante mietendo consensi unanimi per aver liberato il lungomare dalle auto e averlo restituito ai cittadini. Per tutti ha una buona parola e un caro saluto, anche per mia moglie che rientra in porto con l’aria trasognata e vincente.

- Che ti avevo detto, si è ricordato di me e mi ha anche ringraziato! – Ometto di dirle che con ogni probabilità da buon politico le ha spudoratamente mentito e approfitto della sua estasi per convincerla a far vela verso casa.

Con passo stanco, una dermatite di probabile origine nervosa e lo stomaco ormai in stato comatoso risalgo la massa festante in direzione nord, verso casa, finalmente.


Per questo e altri racconti di Luciano: http://www.letteratu.it/2012/04/pasquetta-allamericas-cup/

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...