giovedì 20 aprile 2017

Fotografie di mare



Carlo Borlenghi è un fotografo che della vela e del mare ha fatto il suo campo d’azione prediletto. Da trent’anni e più punta il suo obiettivo sulle barche e sugli uomini che fanno la storia della vela.

L’inizio è con Brava Q8 di Pasquale Landolfi, una barche più vincenti dell’Italia degli anni ‘80, per poi passare all’America’s Cup con Azzurra prima e Luna Rossa dopo, alle imprese di Giovanni Soldini e a tutti gli eventi legati al marchio Rolex.
Le sue foto con il tempo hanno raggiunto una cifra stilistica e una riconoscibilità tali che ascrivono il passaggio di un fotografo alla categoria di maestro.
Con lui l’occhio non segue più la barca nel suo insieme ma viene a posarsi sugli infiniti particolari della navigazione e della regata: le pieghe di una vela che perde potenza, l’ombra dell’uomo a prua  sullo spinnaker, il riflesso del mare sullo scafo, le forme della barca riprese da un obiettivo immerso nell’acqua, la sagoma in controluce del bulbo.
 

Le sue foto hanno un taglio unico, emozionale e suggestivo dove l’uso del teleobiettivo o del grandangolo sono funzionali ad amplificare l’emozione racchiusa nell’attimo dello scatto.
Le tre foto del post sono solo un piccolo campionario del lavoro di Borlenghi: nella prima si assiste e ci si ammutolisce davanti alla potenza e alla maestosità del cielo e del mare in cui la barca è immersa fino a quasi scomparire; nella seconda i tempi di esposizione dilatati a catturare il movimento per restituirlo in un fermo immagine ci trasportano in un acquerello di 100 anni fa, che richiama alla memoria il futurismo di Balla e Boccioni, con le vele colorate sfumate e in dissolvenza;  nell’ultima la turbolenza e la circolarità del movimento dell’onda contrastano l’immobilità di una barca che arranca per trovare la sua strada in un mare scomposto e assolato.
Ma l’emozione, quella che ti toglie le parole e ti incatena davanti a queste immagini, si espande forte da tutte e tre. E questa non è solo fotografia. È molto di più. 
 



venerdì 14 aprile 2017

Amerigo Vespucci, la più bella


Nel 1962 la portaerei USS Indipendence incrociò una nave che procedeva a vele spiegate. In codice Morse richiese l’identificazione cui seguì la risposta: “Nave Scuola Amerigo Vespucci, Marina Militare Italiana”. “Siete la nave più bella del mondo” fu l’immediata replica degli americani che la guardavano ammirati.

Un racconto sentito mille volte, ma non per questo meno vero ed emozionante, ogni volta che si incrocia questo monumento della marineria italiana e mondiale che, dopo quasi un secolo dal varo, ancora solca i mari con eleganza e bellezza davvero infinita.
Fu costruita nei cantieri navali di Castellammare di Stabia nel 1930 insieme alla gemella Cristoforo Colombo sulla base di progetti preparati per il veliero Monarca, nave ammiraglia del Regno delle due Sicilie. Alla fine della seconda guerra mondiale la Cristoforo Colombo fu ceduta all’URSS, quale risarcimento dei danni di guerra, e sembra poi distrutta da un incendio negli anni ’60.

La Vespucci viene utilizzata come nave scuola per gli allievi ufficiali che frequentano il primo anno di Accademia ma direi che, soprattutto, svolge un ruolo di rappresentanza all’estero, presentandosi come ambasciatrice italiana per l’arte, la cultura e la marineria.
È un veliero dei tempi antichi. Le vele sono in tela olona, le cime in canapa, le manovre sono eseguite a forza di braccia e gli ordini sono impartiti con il fischietto dal nostromo.
È un veliero con un cuore moderno. L’apparato motore ausiliario è diesel-elettrico. Due motori diesel da 3.000 cavalli si affiancano ad un motore elettrico Marelli a corrente continua che può generare una velocità di 12 nodi.  
È un veliero che naviga a vela. Ogni volta che si presentano le condizioni adatte, cioè un vento di almeno 10 nodi dai settori poppieri, viene battuto il posto di manovra generale alla vela, ovvero la chiamata per tutto l’equipaggio alla manovra a vela della nave. Alla chiamata della salita a riva tutto l’equipaggio, diviso in squadre assegnate ai vari alberi, sale lungo le sartie e raggiunge il proprio posto per liberare le vele dai matafioni (cinghie che le sorreggono quando chiuse e ne impediscono l’apertura indesiderata). Vele e pennoni vengono poi orientati al vento attraverso le manovre correnti o le volanti o drizze e bracci che percorrono la nave per un totale di circa 36.000 metri di cavi di vario diametro e funzioni.

Sotto vela la Vespucci raggiunge una velocità di circa un terzo dell’intensità del vento in quel momento. Il record di velocità appartiene al comandante Straulino ed è di 15 nodi, cifra impressionante se si considera un dislocamento di 4.000 tonnellate.
Il nome della nave è rappresentato plasticamente nella polena dove è stata collocata una statua in bronzo di Amerigo Vespucci a contrastare le onde e rabbonire la forza del mare.



"Non chi comincia ma quel che persevera"

Leonardo da Vinci




SCHEDA TECNICA

Dislocamento: 1.042 ton.; 4.146 ton. a pieno carico
Dimensioni: 82,38 X 15,56 X 6,65
Lunghezza massima al bompresso: 100,5 m
Altezza all'alberetto di maestra con asticciola 54 m
Pescaggio 7 m
Superficie velica di 3.000 mq. composta da 24 vele di canapa
Scafo in acciaio a tre ponti principali (coperta, batteria e corridoio)
Tre alberi con vele quadre (trinchetto, maestra e mezzana) e bompresso
Cinque ancore: due di posta, una di speranza e due di corrente
Due cannoni da 60 mm. per le salve di saluto
L'equipaggio è di 278 uomini di cui 16 ufficiali
Autonomia di 5.500 miglia a 6,5 nodi
Apparato motore ausiliario diesel-elettrico, con due motori a otto cilindri da 1.500 CV ciascuno collegati a due dinamo che alimentano un motore elettrico collegato all'asse dell'elica a quattro pale, del diametro di 3.400 mm e del peso di 2.810 Kg

mercoledì 5 aprile 2017

Microbarche, barche da pazzi


Navigare su una piccola barca è una cosa allo stesso tempo normale e straordinaria. La barca si trasforma da status symbol a strumento per muoversi sull'acqua o per cercare il record, per osare dove mai nessuno prima. Cercando nelle pieghe della memoria il più lontano ricordo di navigazioni leggendarie con una piccola barca è quello legato al famoso Ammutinamento del Bounty: nel 1789 il capitano William Bligh fu abbandonato nel mezzo dell’oceano Pacifico con una ciurma di 18 uomini e su una scialuppa di 23’. Riuscì a raggiungere l’isola di Timor dopo un viaggio di 7 settimane e 3600 miglia.
L'impresa fu talmente memorabile che gli valse onori e promozioni, esaltando le capacità tecniche e marinare di un uomo che ha avuto forse una fama di cattivo immeritata e gonfiata dalle trasposizioni cinematografiche.
1952
 
Alain Bombard teorizzò che un essere umano lasciato in mare alla deriva e senza provviste sarebbe stato in grado di sopravvivere traendo dal mare stesso cibo e acqua. Nel 1952 mise alla prova di persona la sua teoria e attraversò in 65 giorni l’Atlantico su una zattera da salvataggio (15’) dalle Canarie alle Barbados cibandosi di plancton e acqua di mare in misura tale da non correre rischi per la sua salute. La sua vicenda è stata poi raccontata nel libro “Naufrago volontario” in cui conclude che le cause della morte dei naufraghi siano essenzialmente psicologiche (paura, disperazione, frustrazione) mentre invece la sua esperienza dimostra come sia concretamente possibile sopravvivere.

 
1952-1959
 
John Guzzwell costruì la sua barca di 21’  nel retrobottega del negozio di fish & chips in cui lavorava. Inizialmente il suo obiettivo era quello di raggiungere le Hawaii, ma strada facendo ci prese gusto e completò la circumnavigazione finendo con l’essere il primo britannico a riuscire in tale impresa e con la barca più piccola. La sua storia è raccontata nel libro "Trekka intorno al mondo”. 

 

1982
Dopo una navigazione di quasi 10.000 miglia da Miami attraverso il canale di Panama e poi il Pacifico su Happy (13'8), un piccolo yacht costruito in legno, Howard Wayne Smith fece naufragio sulle scogliere di Noumea, in Nuova Caledonia nel 1982. Ricostruì la barca in alluminio, Happy II (9') e continuò verso l’Australia dove perse nuovamente la barca, stavolta sequestrata alla dogana per irregolarità nell'ingresso del paese e per l’impossibilità nel pagare la multa e quindi espatriato negli USA. A chi gli chiedeva delle sue barche definì la prima "troppo grande per le sue esigenze", mentre la seconda simile ad una "betoniera in funzione" nell'affrontare il mare aperto.
 
1984-1988
 
Serge Testa costruisce in alluminio e acciaio la sua barca, Acroch Australis, di tre metri e mezzo e 800 chili di peso con il preciso obiettivo di fare il giro del mondo partendo da Brisbane in Australia dove torna da eroe dopo quattro anni e 500 giorni di navigazione. La barca è organizzata con tre paratie per renderla sicura in caso di falla, le manovre sono rimandate sottocoperta, il tambucio aperto diventa una seduta per lo skipper e sia la chiglia che il timone sono equipaggiati di flap saldati che aiutano lo scafo a mantenere l’andatura.

 
1993
 
Tom Mc Nally è un inglese di Liverpool che abbandonò la sua professione di insegnante per seguire la sua vocazione di velista. Fece la sua prima traversata nel 1993 sulla sua piccola Vera Hugh (5’4,5’’), il nome della madre, attraversando l’Atlantico dal Portogallo a Fort Lauderdale in 134 giorni. Nel 1998 ritenta la traversata con una barca ancora più piccola, Vera Hugh II (3’11’’), ma non riesce a completare il viaggio. Stessa sorte al tentativo compiuto a 65 anni a bordo di Big C (3'10'') nel 2009, quando l'obiettivo era la doppia traversata dell'Atlantico e insieme la raccolta di fondi per la ricerca contro il cancro.
 
1993
 
Hugo Vihlen su Father’s Day (5’4’’) compie la traversata atlantica sulla barca più piccola della storia dagli USA a Falmouth in Inghilterra in 115 giorni. Nel 1968 aveva tentato una traversata dal Marocco a Miami su April Fool, una barca di 5’11’’, che però fu ostacolato nelle ultimissime miglia da venti deboli e correnti contrarie e il tentativo fu fermato dall’intervento della guardia costiera.


 
2002 -2010
 
Alessandro di Benedetto nel 2002 compie la prima traversata in solitario su un catamarano da spiaggia. Tra il 2009 e il 2010 compie il primo giro del mondo in solitario, senza scalo e senza assistenza su una barca a vela di 6 metri e mezzo che, ad oggi, è ancora la più piccola della storia ad aver completato la circumnavigazione con le stesse regole del Vendée Globe, in completa autosufficienza energetica e alimentare. la barca è un Mini 6,50 adattato alla navigazione alle alte latitudini (pozzetto chiuso e bompresso fisso) che ha subito un disalberamento durante il giro risolto dallo stesso skipper in autonomia. La circumnavigazione di Alessandro è stata omologata dal World Sailing Speed Record Council/ISAF come primato mondiale.

2011
 
È del 2011 l’ultima traversata di Sven Yrvind, un marinaio svedese, su Yrvind ½  una barca di 4,8 metri costruita in divinycell, carbonio e resina epossidica con cui ha raggiunto la Martinica da Kinsale. È famoso per la navigazione in solitario, attraverso gli oceani, su piccole imbarcazioni da lui progettate e costruite da oltre 50 anni. Nel 1980 ha doppiato in solitario Capo Horn su una piccola barca di 20 piedi in pieno inverno. Attualmente è al lavoro su un progetto di micro-barca per realizzare la completa circumnavigazione a Sud dei 3 capi.

 
 
2017
 
Matt Kent si sta preparando per battere l’attuale record di Hugo Vihlen con una barca piccolissima in alluminio (3’6’’) da lui disegnata e costruita, Undaunted, lunga e larga come una lavatrice. Dovrà portare con sé il necessario per sopravvivere 3 mesi circa in mare alla velocità di 2,5 nodi: strumenti di navigazione, il necessario per l’emergenza, acqua e cibo liofilizzato. Tutto questo in poco più di un metro quadrato, dove dovrebbe anche dormire. Si preannuncia un viaggio bello comodo.

 
 
 
 
 
Leggendo di questi pazzi squinternati con barche altrettanto pazze e assurde, circa tre anni fa mi sono messo a disegnare, un po' per gioco e un po' per sfizio, ed è venuto fuori il bozzetto qui di lato. Poi ho messo tutto per iscritto e ho inviato al Guinness World Records la proposta di costruire la barca a vela abitabile più piccola del mondo: 99 cm. di lunghezza fuori tutto, 90 cm. di larghezza e con un albero di 3 metri, scafo in compensato marino e resina epossidica. Il varo e la prima navigazione potevano essere l'occasione per una piccola festa con altri pazzi di mare. Purtroppo la risposta è stata che l'omologazione del record non era accettabile per l'impossibilità di trovare misure certe come riferimento: "each record we verify must be standardisable and we do not feel that would be possible in this case".  Insomma esistono barche piccole, ma così piccole, che a volte nemmeno riusciamo a misurarle. Chissà cos'altro c'è in giro...

 

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...