giovedì 25 giugno 2020

Bagnoli, il Napoli, Sarri e gli antichi romani

A volte capita di perdersi nei propri pensieri.
Dopo la finale di Coppa Italia vinta dal Napoli contro la Juve continuo a pensare che ci sia qualcosa di incompiuto, qualcos’altro da fare.
Si, devo ancora fare qualcosa ma non riesco a capire cosa. È uno di quei pensieri che diventano così ossessivi da farti dimenticare tutto il resto.

E allora esco e comincio a camminare senza una meta, così come capita, solo per camminare.
E capita che me ne vado in giro per Bagnoli, che i Romani chiamavano Balneolis, le piccole terme, dove l’acqua bolle e lo zolfo ingiallisce il terreno. Cammino lungo il lungo vialone centrale, Viale Campi Flegrei, i campi ardenti descritti da tanti autori latini. Da qui si vede che nulla è stato costruito a caso. Il quartiere ha una pianta regolare, a tratti sembra uno di quegli accampamenti degli eserciti romani, con il cardine principale rappresentato proprio dal viale e i vari decumani, il reticolo di strade perpendicolari. E dagli antichi romani vengono i nomi delle strade.

Comincio a girare a caso, dopo il monumento che ricorda i caduti sul lavoro della vecchia fabbrica, e incrocio Via Enea, l’eroe troiano che riuscì a fuggire dalla città asiatica prima che i Greci la distruggessero con il padre Anchise e il figlio Ascanio sulle spalle, come ci racconta Virgilio.
E proprio Enea, attraverso il figlio fondatore di Albalonga, è uno dei progenitori di Romolo e Remo.

Continuo a camminare e trovo Piazza Gaetano Salvemini, un socialista degli inizi del ‘900, antifascista e uomo del Sud, che pagò con la prigione e l’esilio per le sue idee.

Ecco, la coerenza e la dignità dei tempi antichi.

Incrocio di nuovo Via Enea, che quindi non a caso è l’unica strada che attraversa tutta Bagnoli, passa sopra i binari della Cumana e arriva fino all’Italsider, nei pressi di un vecchio ingresso. Proprio quella fabbrica in cui hanno lavorato decine di migliaia di napoletani, di siciliani, pugliesi e anche operai che venivano dal settentrione.

Proprio come il padre di Maurizio Sarri, ora allenatore della Juve. E pensare che fino a due anni fa … vabbè questa è un’altra storia.

La strada mi riporta dentro il quartiere dopo aver superato di nuovo la Cumana. In effetti quest’ultima a Sud e la Metro a Nord segnano i limiti del quartiere, proprio come due valli di un castrum romano.

Comincio a capire meglio.

Percorro tutta Via Amedeo Maiuri, l’archeologo che rinvenì l’Antro della Sibilla a Cuma, che diresse campagne di Scavi a Pompei, Ercolano, Capri, che iniziò le esplorazioni marine nel golfo di Baia. Si, è giusto che questa strada sia sua.

Senza accorgermene arrivo a Via Eurialo e poi scendo a Via di Niso, la strada parallela. Eurialo e Niso, due amici, due eroi, forse due amanti. Molti sostengono che avrebbero dovuto essere ricordati con un’unica strada, Via Eurialo e Niso, l’uno “insigne per bellezza e l’altro valente nell’uso delle armi”, che morirono nel tentativo di avvisare Enea di un tradimento.

Eroi che non trionfano. Tradimenti.

Riprendo la salita lungo Via Lucio Silla, console e dittatore, il capo degli optimates che combattè e vinse contro i populares di Caio Mario, l’infame inventore delle liste di proscrizione, da allora adottate in ogni parte del mondo.

Incrocio ancora Via Ascanio, e poi Via Acate e Via Ilioneo, altri due amici e compagni di Enea che con lui fuggirono da Troia, e che con Via Eurialo e Via di Niso sono i decumani del quartiere.
E sono cinque strade.
Cinque, come le dita di una mano.

Con tutti questi nomi che mi girano per la testa passo per Via Silio Italico, anch’egli politico e poeta epico. Qui sembra abbia vissuto Maurizio Sarri da bambino.
È da qui che devo partire per capire.

Ricordo il modo di combattere dei legionari romani: file e file di soldati in armatura e scudo.  Ogni soldato proteggeva quello alla sua sinistra con lo scudo, quello di dietro sosteneva nella spinta quello che stava davanti e lo rimpiazzava per farlo riposare. E tutti spingevano e andavano avanti a demolire i nemici. Fino in Persia, fino in Germania, fino in Scozia. Le ali di cavalleria ausiliaria proteggevano i fianchi, rallentavano l’avanzata di ogni esercito nemico e poi i legionari finivano il lavoro.

Si, comincio a capire il disegno.

È quello che fa il Napoli di Gattuso. Due linee di quattro tra difesa e centrocampo e un uomo a sostegno dell’una e dell’altra. Le ali a spezzare il gioco e tutta la linea a spingere.

Cinque uomini nella linea, uniti come le dita di una mano.

E arrivo in Via Sibilla, la sacerdotessa di Apollo che scriveva il futuro sulle foglie e lo affidava al vento. Quella che viveva nell’Antro scoperto da Maiuri. La Pizia, temuta e rispettata, lo aveva detto e lo aveva scritto: “Mano”.

Ora ho capito quello che ancora mancava.

Una mano, ma non proprio una mano aperta.

Un dito.


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