martedì 27 novembre 2012

L'isola di Sciacca


REGNO DELLE DUE SICILIE, 1831 - Quell’estate in Sicilia la terra tremò.
Da Agrigento a Palermo le case si svuotarono e la gente terrorizzata andò a dormire fuori, all’aria aperta, dove capitava. 
In quei giorni a Sciacca, pochi chilometri a nord ovest di Agrigento, i pescatori che rientravano dalla pesca raccontavano del mare in ebollizione e di zone in cui i pesci salivano a galla morti, di una violenta puzza di marcio e di morte, di colonne di fumo che si alzavano lontano all’orizzonte, lì dove c’era solo mare.
Il parroco del paese raccolse tutte le donne e i bambini sulla spiaggia e cominciò a pregare e a dir messa.
I vecchi, mentre riparavano le reti, decisero che era meglio smettere di bestemmiare e qualcuno cominciò a diffondere la voce che Napoleone era tornato dall’inferno e stava preparando il suo ritorno.
In molti annunciarono la fine del mondo: era il risveglio del terribile leviatano, del basilisco, oppure Medea e i cavalieri dell’Apocalisse.
Onde senza senso percorrevano il mare. Arrivavano all'improvviso, anche nelle notti senza vento.
A tramonti infuocati si susseguivano tremebonde aurore boreali che spingevano stille di paura sempre più a nord, fino a Roma e Firenze.
Alcuni andarono ad affilare la sciabola, altri andarono a confessare i propri peccati, qualcun’altro ancora armò un gozzo e andò a vedere da vicino.
Era luglio, 17 il giorno, la festa di Sant’Alessio cadeva di domenica. Sotto lo sguardo terrorizzato dei pescatori, in un mare che ribolliva di fuoco, proprio a metà strada tra Pantelleria e Sciacca, in un solo giorno emerse dal mare una nuova isola.
Fu immediatamente spedito a Napoli un messo per comunicare la notizia a re Ferdinando II.

- Maestà, sono venuto a comunicarvi che dal mare di Sicilia è nata una nuova isola ad ingrandire il vostro regno.
- 'Azz!
- Gli inglesi già la chiamano isola di Graham, i francesi la chiamano isola Julia e la reclamano, i vostri sudditi siciliani che mi hanno mandato propongono alla vostra maestà di chiamarla isola di Sciacca, e chiedono di occuparla per non consegnarla agli stranieri.
- 'Azz!
- E’ una terra brulla e senz’acqua da bere, solo cenere, lava, lapilli, sabbia e due laghetti di acqua acida e salata. E’ alta quasi 30 canne e ci si può camminare intorno per 6.000 passi . E' da Sciacca che è partita la prima esplorazione e il comandante Fiorini ha piantato sull’isola un remo in segno di primo scopritore e di presa di possesso in nome di vostra maestà!
- 'Azz!
- Anche gli inglesi sono sbarcati e il comandante Jenhouse ha piantato la sua bandiera sull’isola per farne un avamposto militare vicino alle nostre coste, i francesi pure sono sbarcati e continuano a fare mappe e dipinti.
- 'Azz!

Era di poche parole il re quel giorno.
Non riuscì a dire altro, il messo.
Solo dopo un mese Ferdinando II decise di annettere l’isola al proprio regno col nome di Ferdinandea, in onore di se stesso, e inviò una corvetta con lo stendardo dei Borboni a prendere possesso dell’isola.
I siciliani continuavano a chiamarla semplicemente isola di Sciacca e tra le cancellerie europee iniziò a serpeggiare il rischio di un grave incidente diplomatico.
Ma il mare decise da solo.
Un inverno agitato e malmostoso consumò l’isola che a dicembre, un granello alla volta, il giorno della festa  dell’Immacolata, scomparve sotto gli occhi dei suoi pretendenti.

lunedì 19 novembre 2012

Il vento sul mare

Mentre si esce dal porto il primo pensiero di ogni velista è rivolto al vento: oggi da dove viene, quanto è forte, se la direzione è stabile, quali vele utilizzare. Poi, appena fuori, ci si dispone prua al vento per alzare la randa, la si fa portare, si apre la vela di prua e ci si incammina sulla rotta stabilita. Già, prua al vento ...

Che cos’è il vento?

Il vento è semplicemente aria che si sposta sulla superficie del mare e della terra da zone, più o meno estese, di alta pressione a zone in cui la pressione è più bassa.
La velocità del vento si misura in nodi (1 nodo = 1 miglio nautico all’ora = 1.852 metri all’ora) e quando se ne indica la direzione ci si riferisce sempre alla sua provenienza.
La forza del vento influenza direttamente lo stato del mare poichè il primo, cedendo al mare parte della sua energia, ne provoca il movimento della superficie. A mano a mano che la velocità del vento aumenta, l'energia ceduta al mare assume valori sempre più alti fino a trasformare quella che inizialmente era una massa liquida ferma e inerte in onde alte e maestose che danno al mare un aspetto caotico e saturano l'aria di schiuma e spruzzi, proprio come nella foto sopra.

Da dove viene il vento?

Sono tanti i sistemi e gli indizi che ci aiutano a capire la direzione del vento. Innanzitutto facciamo riferimento agli strumenti di bordo, il Windex in testa d’albero (quella freccia in alto che indica la direzione del vento che colpisce le vele) o la "stazione del vento" con i display nei pressi del timoniere o al tavolo di carteggio.
Un metodo molto artigianale, usato sulle derive o su piccoli cabinati per l’iniziazione (meteor, j24, ecc.), consiste nell’applicare alle sartie basse dei lunghi fili di lana che ne visualizzano immediatamente la direzione.
Guardare le altre barche in movimento, il fumo di ciminiere sulla terraferma, la prua delle grosse navi ferme all’ancora sono ulteriori elementi che possono rafforzare quanto ci dicono gli strumenti.
Il sistema che preferisco è semplicissimo e non ha bisogno di alcuno strumento: basta girare il proprio viso verso la direzione da cui si pensa provenga il vento (si sente sul viso la pressione!) fino a fare in modo che entrambe le orecchie sentano il suo rumore con la stessa intensità. A quel punto saremo sicuri che il naso ne indicherà la direzione. Facile, no?

Cosa si può fare quando non c’è vento?

Ci sono numerosi rimedi, che nel tempo sono stati messi a punto, per convincere il vento a fare la sua parte e per soffiare dalla giusta direzione.
Uno dei più antichi consiste nel grattare con convinzione il paterazzo (strallo di poppa) e fischiettando discretamente suggerire la direzione fra i denti. A volte funziona ma non bisogna esagerare con il fischio, altrimenti si rischia di trovarsi all’improvviso in mezzo a un forza sette (“fischiare” è una delle cose che non si fanno su una barca a vela, questa è l’unica eccezione, ma ne parleremo ampiamente in un prossimo post) .
Un rimedio cui ricorrono i marinai più portati per l’introspezione è quello della preghiera. Qualcuno si rivolge al Dio del mare Nettuno (o Poseidone), che per la verità è sempre stato piuttosto restio a cambiare idea, altri si rivolgono ad Odino, padre degli dei nordici, una sorta di Zeus dai capelli biondi, che però avendo già troppe guerre da fare, ha affidato la delega a Njord, che si è nominato dio dei venti.
La maggior parte dei velisti si rivolge ad Eolo.
E lo stesso facevo io, convinto che Eolo fosse il “Dio dei Venti” per definizione, poi invece rileggendo Omero*, che in materia è un’autorità, ho scoperto che Eolo è un uomo, re di un isola galleggiante, cui Zeus aveva affidato un otre contenente i venti. Si tratta di persona ben introdotta in certi ambienti, un lobbista della prima ora e a nulla servono le preghiere, ma occorrono ben altri argomenti.
Che fare allora? Se, dopo una severa analisi di coscienza riterrete di averne diritto, allora potrete rivolgere le vostre preghiere ai venti stessi. Se, alla bisogna, non ricorderete il nome preciso di un vento sarà sufficiente invocarlo in base alle sue caratteristiche, e visto che ci si trova a fare una richiesta, sarà bene chiarire anche l’intensità desiderata oltre che la direzione.
Ci sono poi procedure rituali più primitive ma efficaci. Una molto semplice e che mi è stata suggerita da un vecchio marinaio, consiste nel fare tre grossi nodi sull’estremità della scotta della randa,  con la quale poi picchiare tre volte sul fondo del pozzetto e poi sul boma urlando a squarciagola il nome di un notorio "cornuto". Ora capirete bene che occorre fare molta attenzione a chi c’è in barca e a non lasciarsi scappare alcun cognome perchè il vento, si sa, non trattiene segreti.

Infine, se niente di quanto sopra dovesse funzionare, si accende il motore.

Effetto speciale numero 1

Questa è la prima manovra che insegno a chiunque venga in barca con me.
A prescindere, come direbbe Totò.
Si tratta di manovrare la barca con l'obiettivo di fermarla nel più breve spazio possibile. L'equivalente di una frenata d'emergenza per una macchina. Ad esempio, se qualcuno (lo skipper) dovesse cadere fuori bordo, chi resta in barca deve essere in grado di fermare la barca senza allontanarsi troppo per consentire il suo recupero.
La manovra è semplicissima:
1) il timoniere deve immediatamente spingere la barra verso il boma (orzare) fino a passare con la prua nel vento senza toccare le vele;
2) sul nuovo bordo il timoniere sposterà la barra del timone un'altra volta verso il boma (timone scontrato all'orza) e lascherà completamente la sola scotta della randa. Il fiocco si gonfierà dall'altra parte.
Ora la barca è ferma.
Questa manovra (virata in panna) può essere eseguita anche da una sola persona in pochissimi secondi e può essere iniziata da qualsiasi direzione provenga il vento.
Naturalmente questo vale solo per fermare la barca e aspettare che il "bagnante" risalga a bordo da solo; però, se per un qualsiasi motivo non dovesse riuscire, mollare tutte le vele e andare con la prua nel vento è meno efficace ma comunque è meglio di niente.
Faccio solo due raccomandazioni: 1) una persona non perda mai di vista chi è caduto in acqua; 2) lanciategli subito qualcosa che aiuti il galleggiamento.
Comunque, se a bordo è rimasto lo skipper (e non è lui quello in acqua), seguite alla lettera le sue istruzioni.



* Odissea, Libro X, 1-76

giovedì 8 novembre 2012

Vendeè Globe, a vela nella leggenda


Team Plastique
Sta per partire la regata più bella del mondo.
La più difficile, la più appassionante.
Sabato prossimo venti skipper su venti barche si staccheranno dalle banchine di Les Sables d’Olonne, in  Vandea, per farvi ritorno tra tre mesi  e 25.000 miglia, l'intero giro del mondo, passando per il capo di Buona Speranza, Capo Leeuwin e Capo Horn, senza voler contare Finisterre, che già dal nome la dice lunga, lì dove gli antichi popoli della Gallia credevano finisse il mondo.
E’ il Vendeè Globe, una regata da leggenda che si ispira direttamente alla regata più folle di tutte, la Golden Globe Race del 1968, cui parteciparono Moitessier e Knox-Johnston.
La vera novità di quest’edizione è la presenza di un’italiano sulla linea di partenza. Tra tanti inglesi e francesi fa un certo effetto leggere un nome chiaramente italiano come Alessandro Di Benedetto, anche se la mamma è francese, uno skipper con un percorso sportivo a dir poco originale.
Nel 1992, in coppia con il padre, attraversa prima il Mediterraneo e poi l’Atlantico in occasione dei festeggiamenti per i 500 anni della scoperta dell’America con un catamarano da spiaggia (United Colors of the World). Gli succede di tutto ma ce la fanno.
Ricordo che quell’impresa mi lasciò senza fiato, li seguivo come potevo, visto che all’epoca non c’era nè satellitare nè internet, rovistando tra i quotidiani, leggendo tutte le riviste di nautica che riuscivo a trovare e seguendo rarissimi servizi in tv che ne parlavano, e tirai un grosso sospiro di sollievo quando lessi del loro arrivo.
Nel 2002 compie la prima traversata dell’Atlantico in solitario sempre su un catamarano di 6 metri senza cabina (2700 miglia) e nel 2006 attraversa il Nord Pacifico da Yokohama a San Francisco (4482 miglia) sullo stesso tipo di barca, segnando così due record omologati dal World Sailing Speed Record Council.
L'arrivo del giro del mondo con un Mini 6,50
Non ancora sazio, nel 2009 si imbarca su un Mini 6,50 (Findomestic Banca), da lui modificato con una cellula di sopravvivenza a poppa e un lungo bompresso fissato sulla prua, e porta a termine la circumnavigazione del globo sulla barca più corta di sempre, altro record, proprio lungo la rotta che ora sta per affrontare con l’Imoca 60 Team Plastique (18,28 metri), una barca vecchia che ha già partecipato a tre giri ma che spero gli dia grandi soddisfazioni.
Di Benedetto raccoglie il testimone di Vittorio Malingri che provò il giro nel 1992 con una barca da lui costruita (Moana Everlast) e che perse il timone poco prima di Capo Horn; di Simone Bianchetti che su Aquarelle.com completò la regata nel 2001 e di Pasquale De Gregorio che, nella stessa edizione e su un 50 piedi (Wind) arrivò ultimo, trovando ad aspettarlo una folla di oltre 20.000 persone corse ad applaudirlo.
Manca poco alla partenza.
C’è solo il tempo di controllare le ultime cose, salutare le persone care.
Poi soltanto il mare.
E il vento.
Solo.

www.teamplastique.com

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...