lunedì 18 luglio 2011

Caro amico sul motoscafo

che ti diverti un mondo a correre sull'acqua, rallenta e ascoltami un attimo.
Io sono quello con la barca a vela, si, quella piccolina con tutte le vele che sbattono e che testardamente cerca di avanzare anche in queste calde giornate di agosto.
Vorrei solo ricordarti che, se dovessimo incrociarci, ho la precedenza. No, non è arroganza la mia, ma è il codice della navigazione che lo prevede, il quale a sua volta si basa sul fatto che, essendo tu più potente e veloce, hai più facilità nella manovra e quindi fai prima a rimetterti in rotta.
Vorrei anche ricordarti che dare la precedenza non significa accelerare e passarmi davanti alla prua ma rallentare e passare a poppa. Sono sicuro che saprai benissimo che passandomi davanti oltre che rallentarmi potresti causare la caduta di qualcuno del mio equipaggio che, sottocoperta, non accorgendosi della tua presenza nei paraggi, non si curasse di tenersi ben saldo al passaggio delle onde causate dalla tua scia.
Se possibile ricorda anche che il tuo motore inquina il mare e l'aria, ti fa spendere un sacco di soldi e, ovunque tu debba andare, ci puoi arrivare anche andando più piano.
Sappi che non ho alcuna voglia di fare a gara con te e che desidero soltanto trascorrere una giornata serena.
Quindi, se puoi, non venirmi troppo vicino quando navighiamo e saremo grandi amici.
Insomma, fà in modo che la prossima volta io possa salutarti con tutta la mano aperta e non con il solito dito.

Con immutata simpatia,

Ernesto

giovedì 14 luglio 2011

La transat dei quarantenni

Mancano poche miglia all’arrivo dei primi e già, per noi che siamo comodamente a casa, è possibile fare i primi bilanci sulla prima metà della regata. In verità la Transquadra è una regata con una formula originale fin dal nome: è una regata transatlantica riservata a non professionisti di almeno quaranta anni e che prevede una prima parte con arrivo a Porto Santo nel mese di luglio e l’attraversamento vero e proprio con arrivo in Martinica nel gennaio successivo. Si può scegliere di partecipare in solitario o in coppia e le classifiche sono stilate in tempo compensato in base ai coefficienti IRC.
Fin dalla prima edizione questo sfasamento temporale ha favorito la partecipazione di coloro che impegnati nel lavoro non avrebbero potuto interrompere la propria attività e la famiglia per più mesi, ma che con minori problemi avrebbero potuto dedicare alla gara un mese in estate e poco più all'inizio dell’anno successivo.
Da quest’edizione si è sdoppiata anche la partenza. Accanto a Saint Nazaire in Bretagna, sede tradizionale e da cui sono partite ben 74 barche e che quest’anno ha riservato l’amara sorpresa di una partenza rimandata a causa di uno sciopero dei portuali che hanno impedito l’apertura delle chiuse per due giorni, gli organizzatori hanno scelto una base mediterranea, il Royal Club Nautico de Barcellona che ha avuto un buon successo al debutto con più di trenta barche alla partenza. Questi numeri la qualificano come una delle regate più importanti del panorama internazionale, seconda per partecipanti solo alla ARC.
Ottima finora la prova degli italiani. Andrea Caracci, uno dei più forti ministi italiani, in coppia con Nino Merola su Scheggia (283) sta lottando per la seconda piazza nella classifica mediterranea mentre Andrea Gancia, noto per i record di traversata in catamarano con Miceli, e Massimo Rufini, anche lui dal mondo dei mini 6,50, su Mima (299) e il duo Santacecca/Piva, nomi noti all’altura mediterranea, su Cymba (291) viaggiano tra il decimo e il tredicesimo posto.
Singolare la coincidenza nella scelta della barca per gli italiani che hanno tutti optato per un Sun Fast 3200 per le sue doti di semplicità di conduzione e velocità in tutte le andature. E' una barca progettata per la conduzione in solitario, con pochissime concessioni alla comodità e con una doppia pala del timone - soluzione necessaria per la larghezza della poppa - che ricorda tanto le sorelle maggiori che corrono intorno al mondo.
La prima tappa si è giocata nelle ariette della partenza e soprattutto dopo Capo Nao, dove è stata premiata la scelta di Williwaw, che ora conduce con un margine di circa quaranta miglia, di cercare aria con una rotta più larga invece che sfruttare le termiche sotto costa come fatto dal resto della flotta all’altezza di Alicante.
Dopo il passaggio di Gibilterra le posizioni si sono cristallizzate con un vento fresco al lasco che ha portato le barche mura a dritta fino all’arrivo.
La flotta del Nord è stata compatta fino al passaggio di Finisterre per poi sgranarsi dentro l’aliseo porteghese dove i primi hanno incrementato sensibilmente il vantaggio.
Ora i regatanti dovranno preparare le barche per la sosta invernale, anche se qualcuno ne approfitterà per fare un poò di crociera tra le isole dell'arcipelago di Madeira, dovranno riparare quello che si è rotto in questo primo assaggio di oceano e cominciare a pensare alla vera e propria traversata. Sarà difficile per loro mantenere la concentrazione in questa lunga sosta, e per molti sarà difficile tornare alla vita di sempre, ma il bello della Transquadra è proprio questo. Si torna in famiglia e se ne riparla l'anno prossimo.
La partenza per la seconda tappa è prevista per il 28 gennaio 2012.
Fin qui la regata.
In reltà per me la Transquadra è anche un piccolo tarlo, forse un progetto ancora molto incerto ma che potrebbe prendere corpo.
Ma una cosa del genere non si può fare da soli. Serve una squadra, servono soldi e serve anche una barca adatta. Ho in mente alcuni nomi per il co-equipier, ma prima di sbilanciarmi vorrei capire se c'è qualcuno che voglia condividere questo percorso.
Scrivetemi o commentate il post, insomma fatemi sapere cosa ne pensate. Sarebbe una bella avventura.
La prossima edizione è fra tre anni.
C'è ancora tempo.
Buon vento.

venerdì 8 luglio 2011

"Vincere tutti gli oceani"

C’è uno skipper che ha vinto tutte le più difficili regate in solitario.
E’ arrivato per due volte primo al Vendèe Globe, il giro del mondo senza scalo che si corre su monoscafi di 60 piedi ogni 4 anni e che rappresenta l’evento sportivo di più lunga durata che sia mai stato concepito dall’uomo (una gara che dura dagli 80 ai 120 giorni).
Ha vinto per ben 3 volte la Solitaire du Figaro, una regata a tappe in solitario su monotipi di 30 piedi che si corre tra la Bretagna, l’Irlanda e il canale della Manica, una zona di enorme difficoltà tecnica per la navigazione e con una griglia di partecipanti agguerritissima, dove dopo centinaia di miglia i distacchi tra i primi si misurano in una manciata di secondi.
Ha vinto con un trimarano la Route du Rhum, una durissima regata transatlantica che ripercorre la scia dei velieri dell’Ottocento che importavano in Europa rhum e cacao dalle colonie oltremare, e che si corre in autunno, quando non si possono sfruttare gli alisei e i venti sono estremamente forti e mutevoli.
E ha vinto così tante altre regate ed è salito così tante altre volte sul podio che risulta difficile darne conto.
Lui è Michel Desjoyeaux e in questo libro ripercorre la sua storia fino al momento che lo vede vincitore per la seconda volta nel 2009 a Les Sables d’Olonne.
E’ un bel racconto, molto vero e affascinante, di un periodo tra gli anni ’90 e il primo decennio del 2000 in cui si affaccia il professionismo nel mondo della grande altura e dove lo skipper si trasforma in un capo d’azienda alle prese con budget, personale e risultati sportivi.
E’ una storia di mare, che si snoda tra l’arcipelago di Glénans e i Quaranta Ruggenti, con un uomo e una barca che hanno il solo obiettivo di andare a vela più veloce degli altri concorrenti e anche più veloci di chiunque.
Non è un libro per chi ama uno stile ricercato o la bella scrittura. La traduzione spesso non scorre come dovrebbe (anzi in alcuni punti è palesemente sbagliata) e ci sono molti refusi (troppi!). Anche in questo caso sembra confermarsi la tesi di chi sostiene che raccontare il mare non è affare da marinai.
Comunque se il mare è già negli occhi di chi legge in questo caso si potrà perdonare a Mich qualche mancanza visto che non è questo il suo mestiere.
Lui, lì fuori, nel blu profondo, è maestro impareggiabile.

Michel Desjoyeax, Vincere tutti gli oceani, Edizioni Mare Verticale

Post Scriptum: Che bello il nome della casa editrice!

lunedì 4 luglio 2011

L'eterna bellezza di Napoli, II parte


Continuando la navigazione, dopo l’ingresso del porticciolo di Mergellina, si arriva alla base della collina di Posillipo che, fino agli inizi dell’Ottocento, era raggiungibile solo dal mare.
E’ solo nel 1820 che viene costruita l’attuale strada che unisce Mergellina a Coroglio e che favorì lo sviluppo della città verso occidente come nei piani urbanistici di Ferdinando IV e realizzati in larga parte da Gioacchino Murat. Fino a quella data, a meno di non volersi inerpicare a dorso di mulo su viottoli sterrati, le grandi residenze nobiliari venivano raggiunte via mare fin dall’edificazione delle prime ville romane, a testimonianza di un rapporto con l’acqua vitale e necessario.
Palazzo Donn’AnnaE’ la residenza costruita per donna Anna Carafa, moglie del Vicerè Ramiro Guzman. I lavori furono avviati nel 1642 da Cosimo Fanzago ma non furono mai completati. Sorge su una preesistente villa romana ben visibile dal mare. Proprio la sua incompiutezza è una delle ragioni del fascino che tutt’oggi promana da questa costruzione in tufo che tende a confondersi con i resti di ville romane, cave e grotte che punteggiano questo litorale.
Nei racconti popolari si tende a confondere Donn’Anna con Giovanna d’Angiò (la Pazza) che qui avrebbe incontrato i suoi giovani amanti, scelti tra popolani e pescatori con cui trascorreva appassionate notti d’amore per poi ammazzarli all’alba facendoli precipitare dal palazzo. Secondo la leggenda le anime di questi sventurati si aggirano ancora oggi nei sotterranei affacciandosi sul mare e emettendo incessanti lamenti. Secondo un’altra versione la regina avrebbe fatto utilizzare ai suoi amanti l’uscita a mare, ancor oggi visibile, per garantirsi la riservatezza necessaria a non suscitare scandali.
Palazzo HamiltonI resti della residenza dell’ambasciatore inglese Sir William Hamilton sono ben visibili. In origine il palazzo (è quello rosso a sinistra di Palazzo Donn'Anna) aveva una cavea e numerosi terrazzi su cui l’ambasciatore organizzava numerosi festini in cui lui ormai ottuagenario esibiva la giovane moglie Emma, vestita in abiti di foggia romana. La stessa Emma diventerà una figura molto influente a corte e l'amante “ufficiale” dell’ammiraglio inglese Oratio Nelson.
Palazzo Volpicelli (nella foto iniziale)
E’ noto per essere ancora utilizzato come luogo in cui è ambientato lo sceneggiato televisivo “Un posto al Sole”, al punto che anche molti napoletani oggi lo identificano come “Villa Palladini”. L’alta torre cilindrica, denominata Fortino o Torretta, è un elemento tipico della moda architettonica del 1800 e ne consente una facile individuazione dal mare. La villa è tra le più belle di Posillipo e ha un giardino molto ampio che arriva a sfiorare alla sua destra la residenza presidenziale di Villa Rosebery.
Villa RoseberyIl fondo attuale venne creato a partire dai primi dell’Ottocento attraverso l’acquisto e l’accorpamento di varie proprietà contigue che garantivano una cospicua rendita agraria attraverso la coltivazione di vigne e alberi da frutta. Nella seconda metà del secolo fu trasformata in un grande parco giardino recintato all’inglese. Nel 1897 lord Rosebery, già primo ministro inglese, l’acquistò per dedicarsi ad un periodo di studi privati. Al suo rientro in patria la donò alla corona inglese che a sua volta, dopo un periodo di abbandono, nel 1932 la diede in dono allo Stato italiano. Dal 1957 la villa è un immobile di proprietà della Presidenza della Repubblica Italiana.
Nell'avvicinamento a Marechiaro, soprattutto se si è su una barca a vela, occorre fare molta attenzione al fondale che improvvisamente si innalza per la presenza di numerose vasche sommerse di epoca romana usate per l'allevamento ittico. La zona di sicurezza è a non meno di 400 metri dalla costa.
Palazzo degli SpiritiFu costruito nel I secolo a.C. da Publio Vedio Pollione. Successivamente entrò a far parte del demanio imperiale sotto Augusto, come l’isola di Capri che è di fronte.
E' di certo l'edificio romano meglio conservato e più suggestivo della zona, come si può apprezzare dalla foto sopra. Si tratta di una costruzione a due piani, di cui il primo attualmente sommerso, in opus reticolatum, con numerose tracce di riutilizzi e restauri.
Deve il suo nome al sibilo che, con mare grosso e vento, si produce tra le finestre aperte e al suo aspetto scarno e spettrale.
Villa di Pausillipon e Baia di TrentaremiSul promontorio, tra la Gaiola e la Cala di Trentaremi (l'ultima prima di Nisida), abbastanza distinguibile dal mare ci sono i resti della grandiosa Villa Pausilypon, in larga parte compresa nella proprietà della famiglia Ambrosio, già coinvolta in un gigantesco fallimento nel settore cerealicolo e negli scorsi anni vittima di un efferato duplice omicidio nella propria abitazione.
Sappiamo che il primo proprietario della villa fu Publio Vedio Pollione, di origini beneventane, ma non sappiamo comunque se sia stato proprio lui a farla costruire o se ne ne venne in possesso in seguito alle confische successive alla vittoria di Ottaviano. Egli aveva combattuto durante le guerre civili dalla parte di quest’ultimo e, probabilmente, aveva ricevuto la villa come come ricompensa.
Gli storici antichi lo hanno descritto come un uomo crudele e dedito ai vizi e ne hanno evidenziato anche la sua passione per le murene che allevava con cura in grandi peschiere che sono ancora visibili sott’acqua alla base del promontorio. Fu lo stesso Publio Vedio Pollione a chiamare la residenza Pausilypon, parola greca che significa “pausa del dolore”, a sottolineare la bellezza mozzafiato del panorama che rende dimentichi di ogni sofferenza. In seguito il nome fu esteso a tutta la collina. La disposizione degli edifici, che risulta ben orientata rispetto ai venti e al sole, appare studiata per aprirsi su suggestivi scorci panoramici e consentire così il pieno godimento della bellezza dei luoghi.
Dal mare è ben visibile il grande teatro che con le sue 19 gradinate era in grado di accogliere fino a 2000 persone. Il tragitto in barca permette anche di notare alcuni tratti di natura incredibilmente incontaminata e ci lascia immaginare la linea di costa di duemila anni fa, con le rocce di tufo modellate dal vento e dal mare e la macchia mediterranea a cercare sole e luce appena più in alto. In particolare nel tratto tra Marechiaro e Trentaremi si possono chiaramente vedere le due bocche eruttive che circa trentamila anni addietro cominciarono a dar forma al golfo di Napoli.
In questa zona occorre prestare attenzione ai limiti dell'Area Marina Protetta della Gaiola che sono segnalati da boe gialle al cui interno è assolutamente vietato il transito e l'ormeggio.
Sulla sinistra c'è Nisida, ma questa è un'altra storia.
Per oggi la nostra passeggiata è finita.
La prossima volta ci inoltreremo nella zona tra Bagnoli e Pozzuoli, crocevia tra archeologia, industria e terremoti.
Qui iniziano i Campi Flegrei.

Fonti: Wikipedia e la mia memoria

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...