lunedì 27 giugno 2011

L'eterna bellezza di Napoli, nonostante tutto


Stanno sporcando la mia città.
Da lunghi anni si stanno accanendo contro questa vecchia signora e nessuno è ancora riuscito a fare qualcosa. Non si tratta solo della spazzatura vera e propria ma anche dei tanti che cercano di sporcare l’immagine di una città che è unica da ogni punto di vista.
Anche dal mare.
E' proprio di questo che oggi voglio parlare, per provare a cancellare quell'immagine di sacchetti dati alle fiamme e di disgraziati che sparpagliano munnezza per le strade.
Guardare Napoli dal mare è un’esperienza entusiasmante e difficile. Per anni l’unica possibilità che ho avuto è stata quella di salire sul traghetto per Ischia e guardare, con calma e muta meraviglia, tutta la costa dal porto fino a Posillipo e i Campi Flegrei.
Da quando vado in barca non è più così, è diventata un’esperienza usuale ma non per questo meno straordinaria. Sono ancora troppo pochi coloro che hanno questa possibilità.
Lo sviluppo caotico e disordinato degli anni ‘60 e ‘70 ha chiuso e privatizzato quasi ogni via di accesso al mare che è diventato solo un elemento del paesaggio, distante e decorativo fino al punto di essere dimenticato e trascurato nella vita quotidiana.
Il Club Nautico della Vela, partendo da queste stesse riflessioni, già da alcuni anni ha messo a punto e propone periodicamente delle visite guidate in barca lungo un percorso che dalle banchine di S. Lucia si snoda verso via Caracciolo fino alla Baia di Trentaremi. Per partecipare o richiedere informazioni si può utilizzare il link di lato nella pagina.
Propongo di seguito alcune note, con l'intento di incuriosire e mostrare una Napoli inconsueta, che possono anche essere utilizzate come traccia per una visita fai da te.
Uscendo in barca dal porticciolo di Borgo Marinari è doveroso richiamare l’attenzione sul Castel dell’Ovo .
Per molti storici l’isolotto di Megaride è il luogo in cui fu fondata l’antica Palepoli intorno al VII secolo a. C. Qui avvenne il primo sbarco dei Cumani che poi si sarebbero spinti verso l’interno sulle pendici del Monte Echia, giusto di fronte, per dar vita al primo insediamento abitativo nell’area in cui sarebbe poi sorta la città di Napoli.
Qui si erge maestoso il Castel dell’Ovo, su due grandi scogli collegati da un arco di tufo.
Una delle più conosciute leggende napoletane farebbe risalire il nome all'uovo che il mago Virgilio (mago dal termine latino magister) avrebbe nascosto all'interno di una gabbia nei sotterranei del castello. Il luogo ove era conservato l'uovo, fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto. Da quel momento il destino del Castello, e quello dell'intera città di Napoli, è stato legato a quello dell'uovo.
Le cronache riportano che, al tempo della regina Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo dell'arco che unisce i due scogli sul quale esso è costruito e la Regina fu costretta a dichiarare solennemente di aver provveduto a sostituire l'uovo per evitare che in città si diffondesse il panico per timore di nuove e più gravi sciagure.
L’etimologia più probabile è legata al nome spagnolo "Castel Nuevo” da cui in italiano "Castel dell’Ovo".
Sull’isolotto e nella zona del monte Echia, nel I secolo a.C., durante la dominazione romana, fu costruita la celebre villa di Lucio Licinio Lucullo, dotata di una ricca biblioteca, di allevamenti di murene nella zona ad ovest dell’isolotto, delle cui peschiere rimangono sott’acqua alcune testimonianze.
Nel 1503 il castello fu nuovamente e massicciamente ristrutturato assumendo la forma attuale, con mure spesse, torri ottagonali e strutture difensive orientate verso terra.
Durante il regno dei Vicerè, con i Borbone il castello venne adibito ad accantonamento e avamposto militare (da qui bombardarono la città durante i moti di Masaniello) e prigione che ospitò tra gli altri il filosofo Tommaso Campanella, Carlo Poerio, Luigi Settembrini e Francesco De Sanctis.
Durante il periodo del Risanamento, dopo l’unità d’italia, un progetto prevedeva l’abbattimento del castello per far posto ad un nuovo rione abitativo. Per fortuna non se ne fece nulla e il castello rimase in stato di abbandono fino al 1975, quando iniziarono gli ultimi lavori di restauro.
Alzando lo sguardo verso la città, il panorama è dominato dalla mole di Castel Sant’Elmo, esempio di architettura medievale del ‘500, in parte scavato nella roccia di tufo.
Trae origine da una torre normanna denominata Belforte che è anche il nome con cui talvolta lo si indica.
Per la sua posizione strategica è stato nel tempo un possedimento sempre molto ambita. Dalla sua sommità è possibile controllare tutta la città, il golfo e le colline retrostanti. Proprio per quest’esigenza fu concepita una pianta stellare a seipunte che sporgono di circa 20 metri rispetto al corpo centrale e sono orientate verso i punti più sensibili alle invasioni dell’area circostante. Negli angoli interni gli spagnoli piazzarono enormi cannoni.
Oggi il castello è sede permanente di un museo, di una mostra sugli artisti napoletani del ‘900 e di manifestazioni fieristiche.
Ben visibile sulla destra c’è la sagoma del Palazzo Reale, la cui costruzione risale agli inizi del ‘600 su impulso dei Vicerè spagnoli che vollero per sè una residenza più comoda e lussuosa rispetto ai castelli abitati dai normanni e dagli angioini nelle dominazioni precedenti. Il progetto fu affidato a Domenico Fontana e portato avanti, sia pure con qualche difficoltà, anche dopo la sua morte dai successori con sostanziale somiglianza al disegno originale fino al completamento avvenuto ben due secoli dopo.
Immediatamente alle spalle di Castel dell’Ovo c’è la collina di Pizzofalcone, uno sperone di tufo su cui venne fondata Partenope e, a quei tempi, circondato dal mare su tre lati.
L’antico nome del monte, Platamon, è sopravvissuto nel nome della via che lo costeggia (via Chiatamone) e significa “rupe scavata da grotte”. Infatti all’interno della collina si aprono diverse grotte con accesso sia dal quartiere soprastante che da via Santa Lucia, che testimoniano presenze sin dalla preistoria.
Fra gli edifici più importanti ci sono la Scuola militare della Nunziatella, il teatro Politeama e l’Istituto Superiore per gli Studi filosofici ospitato a Palazzo Serra di Cassano.
Da questo monte aveva origine un’acqua minerale ferruginosa di origine vulcanica conosciuta come acqua di mummare, dal nome delle anforette utilizzate per raccoglierla e venderla ai banchi degli acquafrescai della città. La sorgente venne chiusa agli inizi degli anni settanta in conseguenza dell’epidemia di colera che colpì la città per timore che si potesse diffondere ulteriormente il contagio.
Costeggiando Via Caracciolo, ad almeno 300 metri dagli scogli per stare tranquilli, a circa metà percorso levando lo sguardo si osserva una macchia di verde che spunta fra i tanti palazzi.
E’ la villa Floridiana, acquistata nel 1815 da re Ferdinando IV per la moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, da cui il nome. Fu ampliata con l’acquisto di proprietà confinanti e ristrutturata in stile neoclassico con enormi giardini che ospitano lecci, pini e più di 150 specie di piante.
Il parco è composto da scenografici viali che accolgono e nascondono finte rovine ed elementi decorativi secondo il gusto neoclassico dell’epoca. Dal 1927 ospita al suo interno il Museo nazionale della Ceramica che consiste in una ricca collezione di oggetti donati alla città nel 1911 dal Duca di Martina.
Tutt’intorno si estende il quartiere del Vomero. Il nome trae origine probabilmente da un antico gioco contadino consistente nel tracciare un solco quanto più dritto possibile con il vomere dell’aratro. L’esistenza do antica tradizione contadina è anche testimoniata dal soprannome di “ collina dei broccoli”.
Fino al 1800 il Vomero era una periferia lontana e poco abitata di Napoli. Un primo sviluppo si ebbe dopo l’epidemia di peste del 1656, quando gran parte della nobiltà e del clero si rifugiarono nei casolari abbandonando temporaneamente le dimore cittadine. Nel secolo successivo si affermò la tendenza a costruire qui una seconda casa, anche grazie all’apertura di Via Salvator Rosa (la Infrascata). Poi con l’acquisto della Floridiana il Vomero acquisisce questa sorta di investitura regale che manterrà anche nei secoli a venire con linsediamento nei suoi palazzi della media e alta borghesia.
Lo sviluppo frenetico e disordinato degli anni ‘60 e ‘70 traforma e imbruttisce la fisionomia del quartiere dandogli l’aspetto attuale di quartiere borghese e caotico.
Dopo l’unità, nell’ambito degli interventi del Risanamento, fu affrontato il tema della sistemazione del lungomare. La zona di Chiaia era, come il nome lascia facilmente intuire, una larga e lunga spiaggia utilizzata dai pescatori per il ricovero delle barche e con numerose fontane utilizzate dalle massaie per i lavori domestici.
Tra il 1869 e il 1872 fu realizzato il primo lotto di lavori con una colmata a mare che consentì un notevole ampliamento della Villa comunale e la costruzione di una larga strada, l’attuale via Caracciolo, tra Mergellina e Piazza Vittoria, la costruzione di un sistema fognario e di un porticciolo per i marinai a compensazione della perdita della spiaggia. Il secondo lotto di lavori tra Piazza Vittoria e Santa Lucia fu completato nel 1883 ed è attualmente l’area dei grandi alberghi e palazzi del lungomare che funge da cerniera tra il mare e la parte più antica della città.
La Villa Comunale , la macchia di verde in basso lunga e ben visibile dalla barca, è un vasto giardino storico il cui primo nucleo risale al 1697 quando fu piantato un doppio filare di lecci abbellito da numerose fontane. Tra il 1778 e il 1780, ad opera di Carlo Vanvitelli (figlio del più famoso Luigi), per volontà di Ferdinando IV l’intera area fu convertita in un vero e proprio giardino in cui trovano posto copie di statue di epoca romana e gruppi scultorei di età tardo rinascimentale.
Nel tempo si sono aggiunte varie strutture di diversa fattura come la cassa Armonica di Enrico Alvino in ghisa e vetro del 1877, la stazione zoologica Anton Dohrn, il Circolo della Stampa del 1948 dell’ architetto Cosenza, la fontana della Tazza di porfido (fontana delle paparelle) rinventa a Paestum e busti di personaggi illustri del 19° e 20° secolo.
La Villa è stata resturata profondamente tra il 1997 e il 1999 da Alessandro Mendini che ha riprogettato gli chalet, risistemato il verde e i viali con un battuto di tufo giallo, realizzato un nuovo impianto di illuminazione e una nuova cancellata. L’intervento è stato al centro di numerose polemiche per la rottura con lo stile neoclassico precedente.
La navigazione per il momento si ferma qui.
Se qualcuno vuole continuare me lo faccia sapere e la prossima volta arriveremo fino a Nisida.


Fonti: Wikipedia e la mia memoria

mercoledì 15 giugno 2011

Un mare di plastica


C’è un grande continente inesplorato al centro dell’oceano Pacifco. E’ largo almeno un milione di chilometri quadrati ma non è segnato su nessuna carta nautica.
E’ il Pacific Garbage Vortex che si trova a metà strada tra le Hawaii e le coste del nord America, dove le calme equatoriali e le correnti che si muovono in senso orario hanno formato un gigantesco vortice che raccoglie i rifiuti abbandonati in mare delle Americhe e dell’Asia, miliardi e miliardi di rottami di plastica, reti, attrezzatura da pesca, scarti della civiltà del consumo in cui viviamo.
Questa spazzatura galleggia appena sotto il pelo dell’acqua e nei primi 4-5 metri. Molti frammenti entrano in simbiosi con la flora e la fauna e lentamente si depositano sul fondo, altri vengono inghiottiti da pesci e uccelli che li scambiamo per cibo. Infatti la plastica si fotodegrada, spezzettandosi in particelle sempre più piccole che assomigliano al plancton e che quindi diventano cibo per i pesci, meduse e tartarughe causandone spesso la morte per soffocamento o per blocco intestinale. Questi animali, risalendo lungo la catena alimentare, finiscono con l’essere cibo anche per l’uomo con effetti sulla salute ancora da determinare.
Sebbene già alla fine degli anni Ottanta alcuni studi facessero preconizzare l’esistenza di un simile mostruso fenomeno, l’effettiva scoperta di questo orribile scempio è stata del tutto casuale.
Charles Moore, ricercatore californiano completamente dedito al mare e alla lotta contro l’inquinamento, nel 1997 era a bordo di Arguita, il suo catamarano, di ritorno da una regata alle Hawaii. Non essendo di natura particolarmente competitiva, sceglie una rotta più settentrionale rispetto alle altre barche e si imbatte in quest’enorme ammasso di spazzatura galleggiante, impiegando più di una settimana per attraversarlo. Preleva insieme al suo equipaggio alcuni campioni per analizzarli al suo rientro e ne traccia una prima localizzazione. Da subito si ipotizza che l’accumulo si sia formato a partire dagli anni cinquanta come conseguenza della corrente marina dell’area dotata di un movimento orario a spirale (North Pacific Subtropicali Gyre) che consente ai rifiuti galleggianti di aggregarsi.
Alcuni anni dopo, all’incirca nel 2006, il ricco ereditiero ambientalista David de Rotschild legge della scoperta e degli studi di Capitan Moore e inizia a progettare una spedizione per dare risonanza internazionale al problema. Inizia così l’avventura del Plastiki, che prende effettivamente il mare nel 2010, dopo una lunga gestazione progettuale e costruttuva.
Il Plastiki è un catamarano costruito utilizzando 12.000 bottiglie di plastica riciclata riempite con ghiaccio secco che, riscaldato, si trasforma in diossido di carbonio aumentando la pressione interna e rendendole rigide. Le bottiglie sono fissate ad una struttura di plastica biodegradabile (srPet) sufficientemente rigida da sopportare le sollecitazioni del vento e del mare in un viaggio di quasi 8500 miglia da San Francisco a Sidney. La barca è stata concepita per essere autosufficiente e dotata di energia pulita, attraverso la combinazione di quattro distinte fonti: una dinamo collegata ad una cyclette fissata in coperta, un generatore eolico, pannelli solari calpestabili e un motore alimentato da carburante biodiesel. Per approfondire si può consultare direttamente il sito www.theplastiki.com.
L’effetto più interessante della spedizione, che altrimenti potrebbe essere degradata al rango di una gita di fighetti pieni di soldi e basta,è l’essere diventato un potente catalizzatore di iniziative legate al riciclaggio e alla conoscenza del problema che altrimenti sarebbe rimasto confinato sulle pubblicazioni scientifiche.
Anche nel Tirreno esiste un’isola di spazzatura, visto che siamo abituati a non farci mai mancare niente. Nel tratto di mare tra l’arcipelago toscano, la Corsica e la Liguria le correnti hanno determinato un affastellamento di rifiuti, soprattutto presso l’isola d’Elba, dove sono stati rinvenuti 892.000 frammenti di plastica per chilometro quadrato contro la media di 115.000 del resto del Mediterraneo (dati Ifremer/ Expedition Med). E’ facile immaginare che si tratti di rifiuti sversati in mare dai fiumi della riviera ligure e toscana e dalle acque non depurate delle città costiere. Di certo una qualche colpa è da ascriversi anche all’antropizzazione eccessiva che si crea lungo quelle coste nel periodo estivo.
Insomma, è colpa nostra!
La scoperta del vortice del Pacifico e di tanti altri ammassi in giro nei mari del mondo è l’ennesima prova della necessità di riconsiderare il modello di sviluppo occidentale basato su una crescita senza limiti e sullo sfruttamento intensivo di tutte le risorse naturali, come il petrolio e la plastica che da esso ne deriva. La crescita esponenziale della produzione mal si concilia con la possibilità di assorbirne gli effetti sul pianeta. Un percorso virtuoso deve vederci impegnati con lo stesso zelo per consegnare un mondo più sano ai nostri figli.
Non sono un sognatore, anzi, ma quello che ho visto nell’acqua dell’Atlantico, a più di mille miglia dalla costa mi spinge a dire che dobbiamo almeno provarci.
Il mare è di tutti ma la responsabilità di ripulirlo e proteggerlo è di nessuno.
Purtroppo.
Mi riesce difficile immaginare che uno stato o un’organizzazione internazionale decidano all’improvviso di ripulire il mare e non saprei nemmeno dire se esista una tecnologia in grado di farlo, ma credo che sia importante parlarne.
Solo così si può tentare di limitare il fenomeno.
Solo così si può iniziare a formare una coscienza ambientale che ci aiuti a non far morire il nostro futuro.
Dobbiamo insistere.
Ogni giorno.
Tutti i giorni.


Fonti: www.effettoterra.org, Il Giornale della Vela, Wikipedia

lunedì 13 giugno 2011

Finalmente Italia


Oggi la stragrande maggioranza degli italiani ha detto che non vuol più vivere in un paese dove la politica si interessa solo dei problemi e degli interessi di una "flaccida" oligarchia ma vuole che si affrontino i temi degli interessi comuni, della salute e dell'uguaglianza.
Oggi la stragrande maggioranza degli italiani ha dimostrato che il Paese sta cambiando e ha indicato la strada.
Oggi la maggioranza degli italiani ha impartito a tutti i partiti politici una lezione di cui tutti devono far tesoro.
Oggi la maggioranza degli italiani mi ha fatto sentire orgoglioso di essere italiano.
La strada è ancora lunga, ma abbiamo il dovere di percorrerla tutta, un passo alla volta.
Dobbiamo insistere.
Ogni giorno.
Tutti i giorni

lunedì 6 giugno 2011

Lettera aperta a Franco Battaglia



Egregio Professore Franco Battaglia,
ho notato che negli ultimi giorni la sua presenza sugli schermi è aumentata a dismisura, quasi come il Pippo Baudo dei tempi d’oro, e proprio come lui la sento ripetere sempre le stesse cose, con lo stesso tono e la tranquilla sicumera di chi ritiene che il proprio pensiero sia inoppugnabile.
Mi permetto di dire che non è così.
Non sono un politico e nemmeno un tecnico, ma semplicemente un cittadino stufo di domande retoriche e che vuole risponderle nel modo più semplice possibile nella speranza di contribuire alla sua scomparsa dai teleschermi.
Mi sembra che la diverta molto chiedere, a chi è contrario alla costruzione di centrali nucleari in Italia, come pensi di risolvere il problema del picco di richiesta di energia elettrica delle 19,00 di sera. Immagino che lei voglia avere l’occasione di dire che il solare non può funzionare di notte e l’eolico è incerto, ma vede, sono un velista e questo lo so bene, e non mi avventuro in una disquisizione tecnica che nemmeno saprei da dove iniziare, ma semplicemente dico che da lunedì prossimo faremo esattamente come facciamo adesso e con lo stesso mix di sorgenti produttive fino a quando non troveremo una soluzione migliore.
Il messaggio che noi affidiamo al referendum è chiaro e non accetto che sia banalizzato in questo modo.
Quelli che come me voteranno SI all’abrogazione della legge sul ritorno al nucleare in Italia vogliono che le risorse pubbliche (i soldi delle nostre tasse) siano utilizzate per realizzare investimenti e strutture che siano compatibili con l’ambiente e con la Vita.
L’energia nucleare non ha queste caratteristiche.
Nelle centrali si producono scorie che restano attive per decine di migliaia di anni e nessuno ha ancora trovato un modo sicuro per neutralizzarle.
Nelle centrali nucleari si accende un fuoco che nessuno è in grado di spegnere in caso di pericolo se non al prezzo altissimo delle vite dei lavoratori dell’impianto e della popolazione che vive nei suoi dintorni.
Nelle centrali nucleari si produce con il rischio costante di liberare nell’ambiente fumi, vapori e veleni invisibili e mortali.
E non continui a sostenere (lei e altri come lei) che non è possibile scegliere sull’onda dell’emotività per la catastrofe di Fukushima, come se ciò fosse un incidente da dimenticare e rimuovere per poter scegliere. Io credo che proprio questi incidenti dimostrino come sia debole, inaffidabile e pericolosa questa tecnologia. L’uomo è fatto di emozioni e razionalità e proprio là dove il pensiero razionale non arriva ci si può giungere con le emozioni e il cuore che a lei sembrano mancare.
Gli incidenti fanno purtroppo parte della catena produttiva in ogni settore economico, e il fatto che negli impianti nucleari possano essere così terribilmente letali ci deve solo far capire che non possiamo affidarci all’atomo.
Comunque, se proprio vuole un argomento razionale contro la costruzione di nuove centrali nucleari, legga quanto ha di recente statuito il governo svizzero che si è schierato contro il ricorso all’energia nucleare in quanto antieconomico. Se lo dicono loro mi riesce difficile dargli torto...
Non starò a dilungarmi su quanto meglio possano essere usate le risorse destinate al nucleare nella ricerca di nuove alternative energetiche, di nuovi dispositivi per l’accumulo di energia prodotta dal sole e dal vento, di nuovi materiali per ridurre la dispersione di energia e calore e di stazioni per la produzione di energia utilizzabili dai privati che vogliono raggiungere la completa autosufficienza.
La pregherei quindi, caro professore, di non continuare a propinarci la solita trita retorica filonucleare perchè non riuscirà a convincermi.
Non è colpa sua ma è la Vita che le dà torto.

Post Scriptum
Ma davvero, come ha detto ad Annozero, lei ha un contatore Geiger nell’orologio? E ha pure gli occhiali a raggi X? Me li presta?

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...