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lunedì 14 maggio 2012

"Zentime Atlantico"


Pochi conoscono Alex Carozzo, il primo navigatore solitario italiano, un po’ genovese e un po’ veneziano, che ha lasciato un segno profondo nella storia della vela d’altura.

Nel 1968 è uno dei 9 temerari ad iscriversi e prendere la partenza alla prima folle regata intorno al mondo, la famosa Golden Globe, che vide al via Robin Knox -Johnston che la vincerà e Bernard Moitessier che la abbandonerà mentre è in testa, passando dalla storia alla leggenda.

Alex sarà costretto all’abbandono dopo poche miglia per un’ulcera allo stomaco e ormeggierà la sua barca all’isola di Cowes, pur essendo stato accreditato come possibile vincitore per il giro più veloce. Aveva già fatto parlare di sè nel 1965 attraversando il Pacifico sul Golden Lion, barca autocostruita nella stiva della nave mercantile dove prestava servizio come ufficiale di rotta.

Nell’aprile del 1990 Alex, all’età di 58 anni, decide di prendere il mare ancora una volta. Cosa cerca? Perchè mette ad ovest ancora una volta la sua prua?
Questo libro è bello e visionario. Ci mostra l’animo dell’autore e i suoi smarrimenti, pensieri che talvolta indugiano nel vuoto e un modo di andare per mare che è distante dalle riviste patinate così come l’autore lo è dal vivere ordinario.

Alex Carozzo è uno zingaro del mare, uno di quei personaggi che si trovano nei porti dell’Atlantico e che cercano un modo per attraversare l’oceano non tanto perchè ci sia qualcosa da fare dall’altra parte ma per il piacere di attraversare in sè, dilatando il tempo per trovare le risposte. E quello per scegliere le domande.

Nella prefazione all’edizione del 2008 scrive: “Non devi guardare il sole al mattino, ma seguirlo la sera. La sua luce all’alba è solo per risvegliarti, ma la sua luce quando scompare è la via che devi seguire, e anche se tramonta rosso e minaccioso, sai che il suo ultimo raggio - per chi lo vede e per chi possiede l’umile pazienza dell’attesa - l’ultimo suo raggio è verde.”


Quando decide di partire non ha una barca. Si mette in cammino e trova una scialuppa da salvataggio in un cantiere di demolizione. La sistema meglio che può, cuce le vele con alcune stoffe portate dall’Italia e parte. Dalle Canarie a San Salvador, sulla rotta di Colombo, senza radio, senza motore, senza cabina, con una piccola bussola manuale, un sestante e due orologi, compie il percorso in quaranta giorni, per un totale di 3800 miglia.

Il mare e un'impresa.
Un’impresa da pazzi.
Un pazzo di mare.


Alex Carozzo, Zentime Atlantico, Nutrimenti

martedì 22 novembre 2011

"La mia barca sicura"

Riflettiamo sulle disavventure degli altri e facciamo tesoro delle loro esperienze? Riusciamo ad imparare dai nostri errori? Esiste una barca che possa affrontare qualunque mare, oceano e tempesta?
A queste domande prova a rispondere l'autore, uno degli uomini di mare con il percorso più originale e con tante miglia nella propria scia.
Ernesto Tross è un autocostruttore che ha progettato e realizzato 9 barche sulle quali ha lungamente e largamente navigato nell’oceano Indiano.
In questo libro parte da alcuni racconti di esperienze difficili ed estreme vissute da equipaggi impegnati in regate e navigazioni per individuare i comportamenti più corretti e i punti deboli dell’attrezzatura.
Di naufragio in naufragio, di tempesta in tempesta ci terrorizza con racconti di esperienze che nessuno vorrebbe mai vivere ma che, prima o poi, sia pure in scala minore, a molti di coloro che vanno per mare, capitano. Sono quelle situazioni in cui ognuno vorrebbe una barca inaffondabile, diciamo un sommergibile, oppure vorrebbe aver scelto un altro passatempo, un qualcosa tipo l'origami...
E qui lo spirito del costruttore viene fuori. Mette insieme tutti gli spunti che vengono dalle analisi della prima parte e costruisce la sua proposta.
Il risultato è una barca in alluminio di 10 metri, un albero posizionato molto a poppa senza randa ma con 3 fiocchi, una prua molto larga a T per ormeggiare di prua e accedere alla barca dal pontile con comodità e un dritto di prua verticale per non cedere alla lunghezza al galleggiamento, una deriva mobile a baionetta, un motore fuoribordo da 25cv da usare solo per le manovre in porto, uno scafo senza alcun buco nell’opera viva ma con un sistema di tubi che scaricano sopra la linea di galleggiamento, una serie di portelli stagni che dividono gli interni in tre sezioni chiudibili ermeticamente e pannelli solari per la produzione di elettricità.
Le soluzioni innovative sono molte e non si può certo dire che gli manchi il coraggio di sperimentare, fino all'estremo.
Dalle fotografie disponibili si può affermare senza alcun dubbio che la barca è brutta. La scelta di non armare la randa potrebbe penalizzare non poco la navigazione contro vento e francamente non mi sembrano del tutto convincenti le motivazioni da lui addotte - legate alla sicurezza - per una simile rinuncia.
Di sicuro interesse le soluzioni per le prese a mare, che sono realizzate ben al di sopra dell’opera viva. Del resto anch’io ho spesso affermato che fare un buco in una cosa che deve andare in acqua è da deficienti e se i cantieri ci cominciassero a pensare sarebbe una cosa sana... Mai provato a sgottare acqua per ore con il mare agitato?
Per il resto è difficile valutare l’Orso Bianco solo sulla base del progetto. Ho letto su Bolina che ha fatto mostra di discrete prestazioni sotto vela ma sinceramente resto ancora perplesso.
Di sicuro posso affermare che è un contributo importante per mettere la sicurezza in primo piano e, fosse anche solo per questo, è un libro da leggere e poi rileggere.


Ernesto Tross, La mia barca sicura, Nutrimenti

lunedì 8 agosto 2011

"L'ultimo viaggio di Jack Aubrey"


L’ultima avventura del più famoso comandante della Royal Navy (dopo Nelson ovviamente, come lui stesso converrebbe) si conclude con una frase lasciata in bilico.
E’ il capitolo finale di un ciclo lunghissimo di ben 21 romanzi che descrivono la vita e la guerra, la morte e gli amori, la furia degli elementi e la società inglese degli inizi del XIX secolo, la guerra di conquista di Napoleone e il dominio assoluto del mare della Royal Navy e della Compagnia delle Indie.
Abbiamo solo l’inizio dell’ultima avventura, con Jack finalmente nominato Contrammiraglio della Squadra Blu che organizza la partenza delle sue navi per Città del Capo. Lo stile è quello tipico di Patrick O’Brian ma si avverte la mancanza della riscrittura finale soprattutto nei dialoghi dei personaggi e in quel velo di humour d'altri tempi usato largamente negli altri romanzi. Jack e Stephen, conosciuti anche attraverso il film Master and Commander, sono raggiunti dalle famiglie al completo e poi... la storia finisce all’improvviso e chissà cosa sarà capitato a Jack e al suo equipaggio, cosa starà facendo adesso e dove avrà calato l’ancora.
La parte più corposa del libro è rappresentata da un ampio e bellissimo saggio di Gastone Breccia, storico dell'università di Pavia, sulla Royal Navy dell’epoca di Jack il Fortunato in cui si raccontano le più importanti battaglie del tempo e le tattiche, l’organizzazione della vita di bordo, le classi delle navi da guerra, le incursioni dei marines inglesi dell’Ottocento e i famosi blocchi dei porti francesi, la caccia ai pirati e ai mercantili del nemico e la carriera militare sulle “mura di legno” dell’impero britannico.
Per gli appassionati di storia, di mare e di avventura è una piccola gemma imperdibile.

Patrick O'Brian, L'ultimo viaggio di Jack Aubrey, Longanesi

venerdì 8 luglio 2011

"Vincere tutti gli oceani"

C’è uno skipper che ha vinto tutte le più difficili regate in solitario.
E’ arrivato per due volte primo al Vendèe Globe, il giro del mondo senza scalo che si corre su monoscafi di 60 piedi ogni 4 anni e che rappresenta l’evento sportivo di più lunga durata che sia mai stato concepito dall’uomo (una gara che dura dagli 80 ai 120 giorni).
Ha vinto per ben 3 volte la Solitaire du Figaro, una regata a tappe in solitario su monotipi di 30 piedi che si corre tra la Bretagna, l’Irlanda e il canale della Manica, una zona di enorme difficoltà tecnica per la navigazione e con una griglia di partecipanti agguerritissima, dove dopo centinaia di miglia i distacchi tra i primi si misurano in una manciata di secondi.
Ha vinto con un trimarano la Route du Rhum, una durissima regata transatlantica che ripercorre la scia dei velieri dell’Ottocento che importavano in Europa rhum e cacao dalle colonie oltremare, e che si corre in autunno, quando non si possono sfruttare gli alisei e i venti sono estremamente forti e mutevoli.
E ha vinto così tante altre regate ed è salito così tante altre volte sul podio che risulta difficile darne conto.
Lui è Michel Desjoyeaux e in questo libro ripercorre la sua storia fino al momento che lo vede vincitore per la seconda volta nel 2009 a Les Sables d’Olonne.
E’ un bel racconto, molto vero e affascinante, di un periodo tra gli anni ’90 e il primo decennio del 2000 in cui si affaccia il professionismo nel mondo della grande altura e dove lo skipper si trasforma in un capo d’azienda alle prese con budget, personale e risultati sportivi.
E’ una storia di mare, che si snoda tra l’arcipelago di Glénans e i Quaranta Ruggenti, con un uomo e una barca che hanno il solo obiettivo di andare a vela più veloce degli altri concorrenti e anche più veloci di chiunque.
Non è un libro per chi ama uno stile ricercato o la bella scrittura. La traduzione spesso non scorre come dovrebbe (anzi in alcuni punti è palesemente sbagliata) e ci sono molti refusi (troppi!). Anche in questo caso sembra confermarsi la tesi di chi sostiene che raccontare il mare non è affare da marinai.
Comunque se il mare è già negli occhi di chi legge in questo caso si potrà perdonare a Mich qualche mancanza visto che non è questo il suo mestiere.
Lui, lì fuori, nel blu profondo, è maestro impareggiabile.

Michel Desjoyeax, Vincere tutti gli oceani, Edizioni Mare Verticale

Post Scriptum: Che bello il nome della casa editrice!

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...