giovedì 31 maggio 2012

Giggino a' Scogliera

Resta ancora là. Consapevole della propria pietrosità. Pietra poggiata su pietra, che sfida il tempo e il mare.
Pietra pietrante che pietreggia pietrando sè stessa (*).
Non c'è altro da dire se non il giusto epiteto esornativo: Giggino a' Scogliera.
L'unica tangibile eredità dell'America's Cup.
Mi permetto una domanda: a cosa sarebbe servita, almeno nelle intenzioni dei progettisti, visto che a Napoli si è avuto l'unico giorno di regate annullate degli ultimi due anni di World Series? E il motivo dell'annullamento fu proprio l'impossibilità di mettere in acqua i catamarani a causa dell'onda lunga causata dal libeccio che, ovviamente, questa scogliera non avrebbe mai potuto contenere.
Ben diversa sarebbe stata la sistemazione nel porto...
Intanto tutti sfuggono un serio confronto sull'evento di aprile e sulla programmazione del prossimo.
Dopo le dimissioni di Raphael Rossi nell'Asìa (voluto dal sindaco per cambiare e moralizzare il sistema della raccolta dei rifiuti in città) e dopo le dimissioni di Narducci dall'assessorato alla legalità (per un pm è un'ammissione di impotenza senza precedenti), la rivoluzione arancione sembra sempre più un giallo.
Anche vista dal mare.


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(*)U. Eco, L'isola del giorno prima, citazione a memoria

lunedì 14 maggio 2012

"Zentime Atlantico"


Pochi conoscono Alex Carozzo, il primo navigatore solitario italiano, un po’ genovese e un po’ veneziano, che ha lasciato un segno profondo nella storia della vela d’altura.

Nel 1968 è uno dei 9 temerari ad iscriversi e prendere la partenza alla prima folle regata intorno al mondo, la famosa Golden Globe, che vide al via Robin Knox -Johnston che la vincerà e Bernard Moitessier che la abbandonerà mentre è in testa, passando dalla storia alla leggenda.

Alex sarà costretto all’abbandono dopo poche miglia per un’ulcera allo stomaco e ormeggierà la sua barca all’isola di Cowes, pur essendo stato accreditato come possibile vincitore per il giro più veloce. Aveva già fatto parlare di sè nel 1965 attraversando il Pacifico sul Golden Lion, barca autocostruita nella stiva della nave mercantile dove prestava servizio come ufficiale di rotta.

Nell’aprile del 1990 Alex, all’età di 58 anni, decide di prendere il mare ancora una volta. Cosa cerca? Perchè mette ad ovest ancora una volta la sua prua?
Questo libro è bello e visionario. Ci mostra l’animo dell’autore e i suoi smarrimenti, pensieri che talvolta indugiano nel vuoto e un modo di andare per mare che è distante dalle riviste patinate così come l’autore lo è dal vivere ordinario.

Alex Carozzo è uno zingaro del mare, uno di quei personaggi che si trovano nei porti dell’Atlantico e che cercano un modo per attraversare l’oceano non tanto perchè ci sia qualcosa da fare dall’altra parte ma per il piacere di attraversare in sè, dilatando il tempo per trovare le risposte. E quello per scegliere le domande.

Nella prefazione all’edizione del 2008 scrive: “Non devi guardare il sole al mattino, ma seguirlo la sera. La sua luce all’alba è solo per risvegliarti, ma la sua luce quando scompare è la via che devi seguire, e anche se tramonta rosso e minaccioso, sai che il suo ultimo raggio - per chi lo vede e per chi possiede l’umile pazienza dell’attesa - l’ultimo suo raggio è verde.”


Quando decide di partire non ha una barca. Si mette in cammino e trova una scialuppa da salvataggio in un cantiere di demolizione. La sistema meglio che può, cuce le vele con alcune stoffe portate dall’Italia e parte. Dalle Canarie a San Salvador, sulla rotta di Colombo, senza radio, senza motore, senza cabina, con una piccola bussola manuale, un sestante e due orologi, compie il percorso in quaranta giorni, per un totale di 3800 miglia.

Il mare e un'impresa.
Un’impresa da pazzi.
Un pazzo di mare.


Alex Carozzo, Zentime Atlantico, Nutrimenti

martedì 8 maggio 2012

Il porto con la spina

Oggi sono uscito in barca con un amico. E’ stata una bella giornata e abbiamo tenuto il motore acceso per non piu di 5 minuti in tutto, giusto il necessario per uscire e rientrare dall’ormeggio.

Per il resto siamo andati a vela per tutto il pomeriggio.

Una volta in banchina, ormeggiata la barca, ho preso dal gavone il cavo della 220v e lo ho collegato alla colonnina del pontile. Mentre mettevamo ordine in coperta non ho potuto fare a meno di guardare verso la Stazione Marittima, distante mezzo miglio, e notare il profilo imponente di due navi da crociera in attesa dei loro ospiti, con il camino in funzione che scaricava nel cielo quintali di fumi neri senza soluzione di continuità. Accanto due aliscafi vomitavano anch’essi macchie scure dai tubi di scarico.

Eppure non dovrebbe essere difficile mettergli la spina, proprio come l’abbiamo noi per la nostra piccola barca.

Se si riuscisse a spegnere il motore delle navi nei porti e ad alimentarle elettricamente si taglierebbero le immissioni di CO2 fino al 95 per cento.

Una soluzione del genere migliorerebbe la qualità dell’ambiente portuale di molto, contribuendo anche all’integrazione del porto con la città, perchè se è vero che gli scali sono fonte di occupazione e crescita economica è altrettanto vero che non sempre il prezzo da pagare è sostenibile dal punto di vista ambientale, basti pensare al peso della movimentazione di migliaia di automezzi che vanno all’imbarco in certi momenti dell’anno.

Il solo porto di Napoli, con circa un milione e mezzo di crocieristi in transito, registra la presenza costante in banchina di una nave al giorno in inverno e di almeno due nei mesi di alta stagione.

In questo scenario l’elettrificazione delle banchine dovrebbe collocarsi all’interno di un piano di riqualificazione energetica complessivo che, sfruttando risorse e tecnologie all’avanguardia , puntasse a trasformare l’intero porto, prima azienda della città, con migliaia di addetti nei settori della cantieristica, del traffico commerciale, del trasporto passeggeri e del diporto, in un’area più pulita e sicura.

Un tale piano dovrebbe prevedere un’ampia quota di autoproduzione di energia elettrica attraverso impianti fotovoltaici distribuiti sulle coperture degli edifici portuali, attraverso la costruzione di impianti eolici che potrebbero essere collocati sulla diga foranea, attraverso interventi di riqualificazione energetica negli edifici per contenere la dispersione termica e attraverso l’utilizzo di veicoli a propulsione elettrica o ibrida almeno all’interno del perimetro portuale.

Oltre agli ovvi benefici ambientali, sono evidenti anche i benefici economici sia nel settore dell’edilizia di qualità che in quello delle tecnologie ambientali.

Intanto, mentre scrivo, si è fatto buio. Le giornate si stanno allungando ma non abbastanza.

Vado a staccare la spina dalla colonnina.

La nave laggiù è tutta illuminata.

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...