lunedì 19 novembre 2012

Il vento sul mare

Mentre si esce dal porto il primo pensiero di ogni velista è rivolto al vento: oggi da dove viene, quanto è forte, se la direzione è stabile, quali vele utilizzare. Poi, appena fuori, ci si dispone prua al vento per alzare la randa, la si fa portare, si apre la vela di prua e ci si incammina sulla rotta stabilita. Già, prua al vento ...

Che cos’è il vento?

Il vento è semplicemente aria che si sposta sulla superficie del mare e della terra da zone, più o meno estese, di alta pressione a zone in cui la pressione è più bassa.
La velocità del vento si misura in nodi (1 nodo = 1 miglio nautico all’ora = 1.852 metri all’ora) e quando se ne indica la direzione ci si riferisce sempre alla sua provenienza.
La forza del vento influenza direttamente lo stato del mare poichè il primo, cedendo al mare parte della sua energia, ne provoca il movimento della superficie. A mano a mano che la velocità del vento aumenta, l'energia ceduta al mare assume valori sempre più alti fino a trasformare quella che inizialmente era una massa liquida ferma e inerte in onde alte e maestose che danno al mare un aspetto caotico e saturano l'aria di schiuma e spruzzi, proprio come nella foto sopra.

Da dove viene il vento?

Sono tanti i sistemi e gli indizi che ci aiutano a capire la direzione del vento. Innanzitutto facciamo riferimento agli strumenti di bordo, il Windex in testa d’albero (quella freccia in alto che indica la direzione del vento che colpisce le vele) o la "stazione del vento" con i display nei pressi del timoniere o al tavolo di carteggio.
Un metodo molto artigianale, usato sulle derive o su piccoli cabinati per l’iniziazione (meteor, j24, ecc.), consiste nell’applicare alle sartie basse dei lunghi fili di lana che ne visualizzano immediatamente la direzione.
Guardare le altre barche in movimento, il fumo di ciminiere sulla terraferma, la prua delle grosse navi ferme all’ancora sono ulteriori elementi che possono rafforzare quanto ci dicono gli strumenti.
Il sistema che preferisco è semplicissimo e non ha bisogno di alcuno strumento: basta girare il proprio viso verso la direzione da cui si pensa provenga il vento (si sente sul viso la pressione!) fino a fare in modo che entrambe le orecchie sentano il suo rumore con la stessa intensità. A quel punto saremo sicuri che il naso ne indicherà la direzione. Facile, no?

Cosa si può fare quando non c’è vento?

Ci sono numerosi rimedi, che nel tempo sono stati messi a punto, per convincere il vento a fare la sua parte e per soffiare dalla giusta direzione.
Uno dei più antichi consiste nel grattare con convinzione il paterazzo (strallo di poppa) e fischiettando discretamente suggerire la direzione fra i denti. A volte funziona ma non bisogna esagerare con il fischio, altrimenti si rischia di trovarsi all’improvviso in mezzo a un forza sette (“fischiare” è una delle cose che non si fanno su una barca a vela, questa è l’unica eccezione, ma ne parleremo ampiamente in un prossimo post) .
Un rimedio cui ricorrono i marinai più portati per l’introspezione è quello della preghiera. Qualcuno si rivolge al Dio del mare Nettuno (o Poseidone), che per la verità è sempre stato piuttosto restio a cambiare idea, altri si rivolgono ad Odino, padre degli dei nordici, una sorta di Zeus dai capelli biondi, che però avendo già troppe guerre da fare, ha affidato la delega a Njord, che si è nominato dio dei venti.
La maggior parte dei velisti si rivolge ad Eolo.
E lo stesso facevo io, convinto che Eolo fosse il “Dio dei Venti” per definizione, poi invece rileggendo Omero*, che in materia è un’autorità, ho scoperto che Eolo è un uomo, re di un isola galleggiante, cui Zeus aveva affidato un otre contenente i venti. Si tratta di persona ben introdotta in certi ambienti, un lobbista della prima ora e a nulla servono le preghiere, ma occorrono ben altri argomenti.
Che fare allora? Se, dopo una severa analisi di coscienza riterrete di averne diritto, allora potrete rivolgere le vostre preghiere ai venti stessi. Se, alla bisogna, non ricorderete il nome preciso di un vento sarà sufficiente invocarlo in base alle sue caratteristiche, e visto che ci si trova a fare una richiesta, sarà bene chiarire anche l’intensità desiderata oltre che la direzione.
Ci sono poi procedure rituali più primitive ma efficaci. Una molto semplice e che mi è stata suggerita da un vecchio marinaio, consiste nel fare tre grossi nodi sull’estremità della scotta della randa,  con la quale poi picchiare tre volte sul fondo del pozzetto e poi sul boma urlando a squarciagola il nome di un notorio "cornuto". Ora capirete bene che occorre fare molta attenzione a chi c’è in barca e a non lasciarsi scappare alcun cognome perchè il vento, si sa, non trattiene segreti.

Infine, se niente di quanto sopra dovesse funzionare, si accende il motore.

Effetto speciale numero 1

Questa è la prima manovra che insegno a chiunque venga in barca con me.
A prescindere, come direbbe Totò.
Si tratta di manovrare la barca con l'obiettivo di fermarla nel più breve spazio possibile. L'equivalente di una frenata d'emergenza per una macchina. Ad esempio, se qualcuno (lo skipper) dovesse cadere fuori bordo, chi resta in barca deve essere in grado di fermare la barca senza allontanarsi troppo per consentire il suo recupero.
La manovra è semplicissima:
1) il timoniere deve immediatamente spingere la barra verso il boma (orzare) fino a passare con la prua nel vento senza toccare le vele;
2) sul nuovo bordo il timoniere sposterà la barra del timone un'altra volta verso il boma (timone scontrato all'orza) e lascherà completamente la sola scotta della randa. Il fiocco si gonfierà dall'altra parte.
Ora la barca è ferma.
Questa manovra (virata in panna) può essere eseguita anche da una sola persona in pochissimi secondi e può essere iniziata da qualsiasi direzione provenga il vento.
Naturalmente questo vale solo per fermare la barca e aspettare che il "bagnante" risalga a bordo da solo; però, se per un qualsiasi motivo non dovesse riuscire, mollare tutte le vele e andare con la prua nel vento è meno efficace ma comunque è meglio di niente.
Faccio solo due raccomandazioni: 1) una persona non perda mai di vista chi è caduto in acqua; 2) lanciategli subito qualcosa che aiuti il galleggiamento.
Comunque, se a bordo è rimasto lo skipper (e non è lui quello in acqua), seguite alla lettera le sue istruzioni.



* Odissea, Libro X, 1-76

Nessun commento:

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...