lunedì 12 agosto 2013

Tante piccole superstizioni


Le superstizioni sull'ambiente marino sono nate nel momento stesso in cui il primo uomo ha messo un tronco in acqua e lo ha utilizzato per andare in mare o per attraversare un fiume.
La paura dell’ignoto, degli abissi, di ciò che poteva essere nascosto sotto l'acqua e degli spazi sconfinati sono alla base dei rituali che, tramandati da innumerevoli generazioni di marinai, sono rispettati per ingraziarsi la benevolenza degli elementi.

Il varo
Fin dal momento del varo esistono alcune cerimonie volte ad assicurare fortuna e buona sorte alla barca e ai suoi marinai.
Nell’antica Grecia la chiglia delle nuove navi veniva bagnata con il sangue degli schiavi in catene, mentre tra i Vichinghi si usava lavare il ponte delle nuove navi con il sangue dei prigionieri.
Ai nostri giorni si usa una cerimonia meno cruenta, che confonde il sacro con il profano, prevedendo la benedizione con acqua santa e poi una bottiglia di spumante da infrangere sulla prua. Quindi, rispetto al passato, il sangue è stato sostituito con il vino o con lo champagne, bevanda tradizionalmente associata al buonumore e alla fortuna.
In occasione del varo di una barca, dunque, il padrino o la madrina di questa devono rompere la bottiglia di champagne a prua vicino al nome della “battezzata” ed è fondamentale che essa si spacchi al primo colpo, altrimenti la barca subirà una vita di sventure e disgrazie.
E non aggiungiamo altro.

L'AC72 di Prada al momento del varo

Il cambio del nome
Tempo fa ho letto una plausibile spiegazione della nascita della superstizione intorno al nome di una nave che spiegherebbe, al tempo stesso, anche quella per cui le donne a bordo porterebbero sfortuna: ai tempi delle Repubbliche Marinare, prima del varo, l’ultima doga della nave e la polena, venivano portate in chiesa per essere battezzate con il nome stabilito dall'armatore. Subito dopo si collocava la polena a prua sotto il bompresso e a poppa l'ultima doga su cui veniva scritto il nome della nave e della donna che veniva scolpita sulla polena; essendo la prima e l’unica donna a bordo, se le cambiavi il nome, preferendole quello di un'altra donna, per gelosia ti mandava a picco la nave così come se addirittura imbarcavi un'altra donna.
Questa credenza, secondo cui porta sfortuna cambiare nome a una barca, è una delle superstizioni con più versioni che circolano fra porti e banchine di tutto il mondo.
Qualcuno dice che, poichè ogni barca ha un'anima e tale anima sia indicata dal primo nome, ogni variazione può confondere il destino e farla percorrere rotte non scritte per essa.
Secondo altri, invece, più concretamente cambiando il nome ad una nave si ingannano i vecchi marinai che di ogni  barca conoscono pregi e difetti, e che magari rischiano di imbarcarsi, ignari, su una nave che ha rischiato di affondare più volte.
Detto questo, se è proprio necessario cambiare nome ad una barca, lo si può fare, ma a patto che si esegua una cerimonia appropriata.
Alcuni ritengono sufficiente incidere il vecchio nome su una targa da tenere in barca; i francesi invece sostengono che si possa cambiare il nome solo il 15 agosto, dopo un’uscita in mare e l’esecuzione di una una serie di virate e una poggiata per scendere in poppa (come un serpente che si mangia la coda); altri ancora che il cambio possa essere effettuato solo dopo aver tagliato l’equatore e lasciato su un cartiglio il vecchio nome (decisamente complicato e dispendioso); altri infine che possa avvenire solo dopo che una vergine abbia bagnato la prua con lo spumante...

Il coniglio
Perché un animale dall’aria così inoffensiva terrorizza i popoli del mare?
Bisogna tornare indietro nel tempo, a qualche secolo fa, per trovare la spiegazione. Quando le navi partivano per lunghe traversate, esse imbarcavano grandi quantità di viveri come cibo sotto sale, legumi secchi ma anche animali vivi (pollame, maiali e i famosi conigli), che mangiavano man mano durante il viaggio. Il problema con i roditori, e in particolare i conigli, era che questi non avevano mai abbastanza cibo nelle loro gabbie e quindi cominciavano a sgranocchiare le loro stesse gabbie di vimini, poi andavano in giro a bordo per cibarsi di tutta la canapa che era a portata di denti. La canapa infatti serviva a fabbricare il cordame e a riempire gli interstizi fra le tavole di legno dello scafo. Tutto ciò, come è facile intuire, portava spesso a disastri a bordo, provocando falle nello scafo e disalberamenti.

Il colore verde
Non si deve usare il colore verde in nessuna parte dell’attrezzatura. Esistono diverse versioni sull'origine di questa superstizione, anche se poco conosciute.
Una prima versione afferma che un tempo gli ufficiali di Marina che morivano, venivano bendati e portati a casa solo dopo molto tempo, quindi ammuffiti, cioè ricoperti di muffa verde.
Un’altra versione si basa sul fatto che il verde era (ed è) il colore della muffa che si formava sul legno delle navi, un tempo fatte solo di questo materiale. Scoprire il verde in mezzo al mare, e cioè che il fasciame era marcio, era di sicuro un brutto segno per il destino di quella nave.
Il verde, infine, evoca il colore del metallo ossidato, anch’esso segno di cattiva manutenzione della nave.
In Italia, il verde non deve comparire neanche tra i colori della barca: i superstiziosi adducono l’esempio di “Gatorade”, quasi affondato nell’Oceano Australe, e tutti gli spi verdi di Paul Cayard su “Star & Stripes” esplosi a vantaggio di Luna Rossa.

Fischiettare
Come già detto nel secondo capitolo, in barca non si fischia.
La superstizione sul fischiare in barca trae origine non da un fatto specifico, ma da una vera e propria credenza inventata e un po’ magica. La leggenda vuole che questo divieto nascesse dal fatto che, se un marinaio si metteva a fischiare era per misurarsi con il vento, sfidandolo a duello e quindi attirando burrasche sempre più forti.
La sola persona a cui a bordo di una nave era permesso fischiare, era il cuoco, perché almeno per il tempo in cui avesse fischiato, non poteva mangiare niente dalla cambusa.

Le rondini
In origine sembra che il simbolo della rondine derivi dall’idea che questo uccello, capace di percorrere lunghe distanze, fosse per i marinai un segno annunciatore della terra, il simbolo del ritorno a casa. L’idea che la terra fosse vicina faceva dunque sì che l’entusiasmo e il buonumore si propagassero a bordo: di conseguenza, la rondine è ugualmente sinonimo di fortuna e di buona notizia.
Un tempo i marinai si facevano tatuare una rondine una prima volta dopo aver percorso 5.000 miglia e una seconda rondine dopo aver raggiunto le 10.000 miglia.È questa la ragione storica che conduce generalmente a tatuarsi due rondini, spesso simmetriche, per simbolizzare il fatto di aver superato numerose prove, riprendendo così la metafora del marinaio che ha affrontato il mare con la speranza di rientrare a casa sano e salvo e ritrovare così la sua donna, come la rondine che torna ogni anno dopo la migrazione.
Essa rappresenta dunque anche la fedeltà e la lealtà verso la famiglia.
Un tempo si diceva che se per disgrazia un marinaio non fosse rientrato a casa sua, le rondini che aveva tatuate sul suo corpo avrebbero preso la sua anima dalle acque profonde e l’ avrebbero portata in paradiso: il simbolo dell’uccello come “traghettatore” dell’anima è un tema ricorrente della mitologia classica.

Moneta d'oro sotto l'albero
Un tempo infatti, quando si costruivano le grandi barche a vela, l’usanza voleva che si ponesse sotto l’albero una moneta d’oro per attirare la buona sorte durante la navigazione. L’oro è da sempre simbolo di fortuna e questo gesto mostrava la “buona volontà” del marinaio e degli armatori verso gli dei. In questa credenza così antica, è presente anche l’idea del sacrificio: ponendo una moneta d’oro molto preziosa sotto l’albero i naviganti non se ne sarebbero potuti servire, e quindi sarebbe stato una sorta di tributo pagato al mare.

Ancora non si deve mai lanciare un sasso fuoribordo (equivarrebbe ad inimicarsi il mare) o lasciare le scarpe capovolte (ricordano una barca rovesciata).
Oltre alle rondini anche delfini e gatti (deterrente contro i topi in barca) sono di buon augurio, mentre l’avvistamento di uno squalo porta male poichè questi fiuta l’odore del sangue e della morte a bordo.

Porta male anche toccare i gabbiani o tagliarsi le unghia.
Va bene avere un tatuaggio ma in numero dispari (in contraddizione con le due rondini di cui si diceva, ma chi se ne cura?), visto che si usava farne uno alla partenza e uno all'arrivo, così come si usava indossare un orecchino d’oro che serviva a pagare le spese del proprio funerale, mentre oggi è diventato il distintivo di chi ha superato Capo Horn a vela.
Non si deve mai partire di venerdì, il primo lunedì d’aprile (quando Caino uccise Abele), il secondo lunedì di agosto (data della distruzione di Sodoma e Gomorra) e mai il 31 dicembre (quando Giuda si impiccò).
Non portare l’ombrello su una barca italiana o banane su una barca inglese. Gli americani ritengono che una barca rossa sia sfortunata, mentre per gli spagnoli essere superati da un’altra barca porta male.

Antidoti per eccellenza sono "toccare legno" o "grattare il paterazzo".
Molte barche hanno gli occhi dipinti sul mascone di prua. L’occhio “apotropaico”, che deriva direttamente dalle polene, serve a proteggere la prua che è parte fondamentale della nave, quasi un elemento vivente che si fa strada attraverso le onde.

Come visto il catalogo delle superstizioni è lungo e variegato.
Gli elementi comuni sono la fragilità dell’uomo e delle barche rispetto alla terribile forza delle onde e all’ignoto che aspetta oltre la sottile linea dell’orizzonte.
In mare ogni cosa può servire.

Nessun commento:

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...