giovedì 23 agosto 2018

Tremiti, le isole selvagge


Un mucchio di rocce scagliate nel mare. Da un gigante, da un eroe omerico o da un terremoto.
Sono le isole Tremiti, che in realtà sono un pezzo del promontorio del Gargano che si è staccato ed ha assunto l’attuale forma. Le isole che tremano, per i numerosi terremoti che le hanno plasmate o le isole Diomedee. Il mito le vuole rifugio scelto da Diomede, eroe acheo della guerra di Troia, che venne qui a rifugiarsi dopo un lungo girovagare, come il suo amico e compagno di avventure Ulisse. Alla sua morte Afrodite, forse per vendetta o forse per compassione, trasformò i suoi compagni in uccelli marini, le diomedee (o berta maggiore), una sorta di piccolo gabbiano che, soprattutto di notte, si sente emettere un verso che ricorda il pianto di un neonato. Sono i compagni di Diomede che ancora ne piangono la scomparsa.
Oggi le Tremiti sono una riserva naturale marina che fa parte del Parco nazionale del Gargano dal 1989. L’isola maggiore per estensione è l’isola di San Domino, il centro amministrativo è sull’isola di San Nicola mentre il Cretaccio, Caprara e Pianosa sono disabitate. Sono isole ricoperte di vegetazione tipicamente mediterranea, pini di Aleppo, capperi e lentisco, con un mare incontaminato e ricco di fauna, meta preferita di subacquei e con una delle più belle immersioni dell’intero Mediterraneo nell’isola di Caprara, sulla secca di Punta Secca.

Sull’isola di San Nicola troviamo il cuore fortificato dell’arcipelago che occupa quasi la metà dell’intera isola. Dopo lo sbarco ci si arrampica su una stradina in forte pendenza che conduce alla prima porta dell’abitato dove sorgono le prime mura e una piazzole che ha ospitato anche una postazione contraerea durante la seconda guerra mondiale come testimoniato dalle opere in cemento e dalla blindatura di acciaio che riparava la postazione del mitragliere nello slargo di Punta Cannone. Poco più avanti troviamo alcuni bar e ristoranti e la casa comunale. Una salita a gradoni conduce al doppio ingresso dell’abbazia-fortezza di Santa Maria a Mare. Siamo nella parte più antica della costruzione, quella in cui è difficile separare storia e leggenda. Qui, sui resti di una villa romana,  sorse un piccolo santuario in onore della Vergine Maria che poi diventò meta di pellegrinaggio e quindi affidato alle cure di monaci benedettini nel secolo XI, cui seguirono i monaci cistercensi. Le mura massicce hanno protetto San Nicola da numerose scorribande e tentativi di assedio. Solo una volta è caduta quando nel 1321 una nave di pirati slavi, con uno stratagemma, riuscì ad attirare fuori i monaci per la celebrazione del funerale del loro capitano per poi trucidarli e depredare l’abbazia uccidendo quasi tutti gli isolani. Nel 1783 il re Ferdinando IV di Napoli soppresse l’abbazia e fece successivamente occupare l’isola da un nutrito gruppo si pescatori di Ischia e da alcune famiglie di mercanti della città di Napoli per cui, ancora oggi, si sente chiaramente l’influenza del napoletano nel dialetto degli abitanti delle Tremiti. Nel 1911, nella breve stagione coloniale del regno d’Italia, circa un migliaio di deportati libici furono confinati nell’isola. La maggior parte di essi morirono quasi subito per il diffondersi di malattie come  bronchiti, polmoniti e colera.

A perenne ricordo è stato eretto un cimitero libico nella parte più lontana dell’isola, accanto al cimitero dell’arcipelago. Ancora in epoca fascista furono numerosi i confinati politici ospitati nelle case di San Nicola e che di giorno erano forzati ai lavori agricoli nei campi di San Domino. Il più famoso di essi fu Sandro Pertini, presidente della Repubblica negli anni ’80, cui è dedicata la piazza principale dell’isola di San Domino. Trascurato da tempo, il complesso fortezza-abbazia è stato parzialmente restaurato: gran parte del perimetro esterno è visitabile e offre scorci mozzafiato sulle isole intorno, la facciata della chiesa è sostanzialmente integra e al suo interno ci sono varie porzioni di pavimentazione con tessere di mosaico. Nella chiesa è anche custodita una Madonna nera che viene portata in processione con le barche il giorno dell’Assunta.

Il porto dell’arcipelago si trova a San Domino, l’isola maggiore, a circa 200 metri dal piccolo approdo di San Nicola. E' dominato da un'altura su cui è stato collocato nel 2011 un guerriero acheo in bronzo (dono di Lucio Dalla) che simbolicamente protegge le isole e i suoi abitanti dai tentativi di speculazione e sfruttamento del mare, come nel caso delle perforazioni esplorative alla ricerca di gas e petrolio nelle acque del Gargano. Interamente coperta di macchia mediterranea e pini di Aleppo, ha una sola spiaggia di sabbia, cala delle Arene, accanto al porto, mentre per il resto la costa è composta da una lunga teoria di piccole calette rocciose e pareti scoscese su cui nidificano le diomedee. Ma l’isola cinquant’anni fa non si presentava così. A San Domino si praticava una stentata agricoltura e laddove oggi ci sono pini e piante selvatiche allora c’erano vitigni, meloni e pomodori. Una agricoltura difficile in un terreno roccioso e povero di acqua, mancando una fonte naturale ed eredità dei campi di lavoro dell’epoca borbonica e fascista.

Il porto di San Domino è piccolissimo e non ha posti destinati al transito. Esiste un campo boe gestito dall’Ente Parco ma, oltre ad essere sottodimensionato, è costantemente occupato dai gommoncini destinati al noleggio di proprietà degli isolani. Diventa così indispensabile trovare una zona di mare protetta per sostare sulla propria ancora o rassegnarsi ad andare verso Termoli o verso il Gargano per trascorrere la notte. Sull’isola ci si muove a piedi ma, nonostante le distanze siano brevi, occorre mettere in conto una certa dose di impegno fisico per la presenza di continui saliscendi e la ripidità di alcuni tratti. Dal porto al centro del paese occorrono circa 20 minuti (superata la salita iniziale poi diventa una piacevole passeggiata), per andare da un estremo all’altro si impiega oltre un’ora.

Interessante è la visita di Cala Matana, una delle calette raggiungibili a piedi, che ospita la villa che fu di Lucio Dalla (“sapesse che via vai di eredi che stanno venendo, anche quelli che lui non sapeva di avere”) e che dà il titolo ad una suo album (Luna Matana), fino a Cala degli Inglesi, che ospita due campeggi e a cui si arriva da un sentiero che parte dal centro del paese. In mare, poco distante da Punta del Vapore, verso ovest è possibile fare una nuotata con maschera e pinne e vedere i relitti, ormai dispersi su una superficie ampia, del Lombardo, una delle navi a vapore di Garibaldi durante la spedizione dei Mille che qui è naufragato nel 1864 dopo essere stato sbattuto ripetutamente sulla secca.

A Punta del Diavolo, all’estremità opposta rispetto al porto, c’è il faro di San Domino che il giorno 8 novembre del 1987 fu squarciato da una bomba. Nell’esplosione perse la vita uno dei due attentatori mentre l’altro, individuato e fermato dalla polizia, riuscì poi a sparire senza lasciare tracce. Misteriose furono e sono tuttora le ragioni di questo attentato. In effetti in quei mesi il dittatore libico Gheddafi a più riprese si rivolse all’Italia rivendicando le isole Tremiti come risarcimento per i crimini di guerra degli italiani nel 1911 e adducendo la presenza di popolazione di discendenza libica. Le autorità non presero neppure in considerazione l’eventualità e Gheddafi tentò addirittura una sorta di occupazione, spedendo sull’isola 846 presunti parenti dei libici deportati 70 anni prima, i quali furono fermati a Napoli e rispediti indietro per l’intervento di Giulio Andreotti. Fu quindi un attentato ordito dal colonnello Gheddafi o una mossa di servizi segreti esteri in funzione anti-libica, vista la nazionalità franco-libanese-svizzera degli attentatori?

Il modo migliore per visitare San Domino è una piccola barca con cui arrivare sotto costa e addentrarsi nelle numerose calette per fare il bagno. Numerosi sono i punti di interesse: la grotta delle Viole, il cui nome deriva dal colore delle alghe che ricoprono le sue pareti sommerse; la grotta del Bue Marino, profonda 70 metri e che deve il nome alle foche monache - ora scomparse - che la abitavano; lo scoglio dell'Elefante (nella foto); le tre "senghe", una caratteristica successione di 3 insenature; il piccolo architiello di San Domino, vicino al distributore di benzina (da non confondere con quello più imponente di Capraia) e i tre Pagliai, alti scogli a pochi metri dal porto verso Nord, le cui piccole spiaggette sono raggiungibili solo dal mare ma sono pericolose e sconsigliate per la friabilità delle rocce che le sovrastano.

Tra le due isole maggiori c’è il Cretaccio, che è poco più di uno scoglio e deve il nome alla creta giallastra che lo costituisce soprattutto nella parte centrale, costantemente erosa dalle acque e dal vento. Guardando alcune vecchie fotografia si scorge un isolotto che a fatica si fa coincidere con quello che oggi si vede. Negli ultimi anni la parte centrale è stata quasi totalmente consumata e nelle giornate ventose nuvole di polvere giallastra si agitano vorticose nelle acque antistanti il porto. Una leggenda macabra vuole che nelle notti di bufera il fantasma di un detenuto evaso dalla prigione di San Nicola si aggiri sull’isolotto reggendo la propria testa tra le mani e urlando per lo strazio della decapitazione avvenuta proprio su quest’isola dopo la ricattura.

L’altra grande isola, completamente disabitata, è Capraia, detta anche Capperaia per la diffusa presenza di piante di capperi. Tre sono i luoghi che calamitano l’interesse dei turisti: l’Architiello, reso celebre da una pubblicità dei Baci Perugina negli anni ’80, largo cinque metri e di poco più alto che racchiude un laghetto dalle acque di smeraldo; la statua sommersa di Padre Pio, alta ben tre metri, collocata nelle acque limpide e pulite della zona de “gli Scoglietti”, su un fondale di circa quindici metri e che può essere vista con facilità anche nuotando in superficie; Cala dei Turchi, un’ampia insenatura sul lato settentrionale in cui ancorarono le navi di Solimano II nel 1566 quando questi tentò invano di conquistare l’abbazia, cannoneggiandola per tre giorni prima di desistere e continuare le sue incursioni altrove.
Distante circa 12 miglia dalle altre isole, Pianosa è una piana rocciosa completamente disabitata. La sua altezza massima è 15 metri e durante le mareggiate non è inconsueto che le onde la scavalchino completamente. È riserva integrale: questo significa che, nel limite di 500 metri dalla costa, è vietato tutto (approdo, navigazione, pesca). È possibile fare immersioni se accompagnati da guide subacquee autorizzate.

Negli ultimi decenni, l'amministrazione delle isole sta cercando la strada per la valorizzazione ed il suo sviluppo turistico. È uno dei luoghi più belli e incontaminati dei nostri mari, uno dei luoghi ancora selvaggi e per questo meritevoli di grandi cure e attenzione. Se fossimo saggi.

Nessun commento:

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...