Sono le isole Tremiti, che in realtà sono un pezzo
del promontorio del Gargano che si è staccato ed ha assunto l’attuale forma. Le
isole che tremano, per i numerosi terremoti che le hanno plasmate o le isole
Diomedee. Il mito le vuole rifugio scelto da Diomede, eroe acheo della guerra
di Troia, che venne qui a rifugiarsi dopo un lungo girovagare, come il suo
amico e compagno di avventure Ulisse. Alla sua morte Afrodite, forse per
vendetta o forse per compassione, trasformò i suoi compagni in uccelli marini,
le diomedee (o berta maggiore), una sorta di piccolo gabbiano che, soprattutto
di notte, si sente emettere un verso che ricorda il pianto di un neonato. Sono
i compagni di Diomede che ancora ne piangono la scomparsa.
Oggi le Tremiti sono una riserva naturale marina che fa parte del Parco nazionale del
Gargano dal 1989. L’isola maggiore per estensione è l’isola di San Domino, il
centro amministrativo è sull’isola di San Nicola mentre il Cretaccio, Caprara e
Pianosa sono disabitate. Sono isole ricoperte di vegetazione tipicamente
mediterranea, pini di Aleppo, capperi e lentisco, con un mare incontaminato
e ricco di fauna, meta preferita di subacquei e con una delle più belle
immersioni dell’intero Mediterraneo nell’isola di Caprara, sulla secca di Punta
Secca.
Sull’isola di San
Nicola troviamo il cuore fortificato dell’arcipelago che occupa quasi la
metà dell’intera isola. Dopo lo sbarco ci si arrampica su una stradina in forte
pendenza che conduce alla prima porta dell’abitato dove sorgono le prime mura e
una piazzole che ha ospitato anche una postazione contraerea durante la seconda
guerra mondiale come testimoniato dalle opere in cemento e dalla blindatura di
acciaio che riparava la postazione del mitragliere nello slargo di Punta
Cannone. Poco più avanti troviamo alcuni bar e ristoranti e la casa comunale.
Una salita a gradoni conduce al doppio ingresso dell’abbazia-fortezza di Santa
Maria a Mare. Siamo nella parte più antica della costruzione, quella in cui è
difficile separare storia e leggenda. Qui, sui resti di una villa romana, sorse un piccolo santuario in onore della
Vergine Maria che poi diventò meta di pellegrinaggio e quindi affidato alle
cure di monaci benedettini nel secolo XI, cui seguirono i monaci cistercensi.
Le mura massicce hanno protetto San Nicola da numerose scorribande e tentativi
di assedio. Solo una volta è caduta quando nel 1321 una nave di pirati slavi,
con uno stratagemma, riuscì ad attirare fuori i monaci per la celebrazione del
funerale del loro capitano per poi trucidarli e depredare l’abbazia uccidendo
quasi tutti gli isolani. Nel 1783 il re Ferdinando IV di Napoli soppresse
l’abbazia e fece successivamente occupare l’isola da un nutrito gruppo si
pescatori di Ischia e da alcune famiglie di mercanti della città di Napoli per
cui, ancora oggi, si sente chiaramente l’influenza del napoletano nel dialetto
degli abitanti delle Tremiti. Nel 1911, nella breve stagione coloniale del
regno d’Italia, circa un migliaio di deportati libici furono confinati
nell’isola. La maggior parte di essi morirono quasi subito per il diffondersi
di malattie come bronchiti, polmoniti e
colera.
A perenne ricordo è stato eretto un cimitero libico nella parte più
lontana dell’isola, accanto al cimitero dell’arcipelago. Ancora in epoca
fascista furono numerosi i confinati politici ospitati nelle case di San Nicola
e che di giorno erano forzati ai lavori agricoli nei campi di San Domino. Il
più famoso di essi fu Sandro Pertini, presidente della Repubblica negli anni
’80, cui è dedicata la piazza principale dell’isola di San Domino. Trascurato
da tempo, il complesso fortezza-abbazia
è stato parzialmente restaurato: gran parte del perimetro esterno è
visitabile e offre scorci mozzafiato sulle isole intorno, la facciata della
chiesa è sostanzialmente integra e al suo interno ci sono varie porzioni di
pavimentazione con tessere di mosaico. Nella chiesa è anche custodita una Madonna
nera che viene portata in processione con le barche il giorno dell’Assunta.

Il porto di San Domino è piccolissimo e non ha
posti destinati al transito. Esiste un campo boe gestito dall’Ente Parco ma,
oltre ad essere sottodimensionato, è costantemente occupato dai gommoncini destinati
al noleggio di proprietà degli isolani. Diventa così indispensabile trovare una
zona di mare protetta per sostare sulla propria ancora o rassegnarsi ad andare
verso Termoli o verso il Gargano per trascorrere la notte. Sull’isola ci si
muove a piedi ma, nonostante le distanze siano brevi, occorre mettere in conto
una certa dose di impegno fisico per la presenza di continui saliscendi e la
ripidità di alcuni tratti. Dal porto al centro del paese occorrono circa 20
minuti (superata la salita iniziale poi diventa una piacevole passeggiata), per
andare da un estremo all’altro si
impiega oltre un’ora.

A Punta del Diavolo, all’estremità opposta rispetto
al porto, c’è il faro di San Domino che il giorno 8 novembre del 1987 fu
squarciato da una bomba. Nell’esplosione perse la vita uno dei due attentatori
mentre l’altro, individuato e fermato dalla polizia, riuscì poi a sparire senza
lasciare tracce. Misteriose furono e sono tuttora le ragioni di questo attentato.
In effetti in quei mesi il dittatore libico Gheddafi a più riprese si rivolse
all’Italia rivendicando le isole Tremiti come risarcimento per i crimini di
guerra degli italiani nel 1911 e adducendo la presenza di popolazione di
discendenza libica. Le autorità non presero neppure in considerazione l’eventualità
e Gheddafi tentò addirittura una sorta di occupazione, spedendo sull’isola 846
presunti parenti dei libici deportati 70 anni prima, i quali furono fermati a
Napoli e rispediti indietro per l’intervento di Giulio Andreotti. Fu quindi un
attentato ordito dal colonnello Gheddafi o una mossa di servizi segreti esteri
in funzione anti-libica, vista la nazionalità franco-libanese-svizzera degli
attentatori?
Il modo migliore per visitare San Domino è una piccola barca con cui arrivare sotto costa e addentrarsi nelle numerose calette per fare il bagno. Numerosi sono i punti di interesse: la grotta delle Viole, il cui nome deriva dal colore delle alghe che ricoprono le sue pareti sommerse; la grotta del Bue Marino, profonda 70 metri e che deve il nome alle foche monache - ora scomparse - che la abitavano; lo scoglio dell'Elefante (nella foto); le tre "senghe", una caratteristica successione di 3 insenature; il piccolo architiello di San Domino, vicino al distributore di benzina (da non confondere con quello più imponente di Capraia) e i tre Pagliai, alti scogli a pochi metri dal porto verso Nord, le cui piccole spiaggette sono raggiungibili solo dal mare ma sono pericolose e sconsigliate per la friabilità delle rocce che le sovrastano.

Tra le due isole maggiori c’è il Cretaccio, che è poco più di uno
scoglio e deve il nome alla creta giallastra che lo costituisce soprattutto
nella parte centrale, costantemente erosa dalle acque e dal vento. Guardando
alcune vecchie fotografia si scorge un isolotto che a fatica si fa coincidere
con quello che oggi si vede. Negli ultimi anni la parte centrale è stata quasi
totalmente consumata e nelle giornate ventose nuvole di polvere giallastra si
agitano vorticose nelle acque antistanti il porto. Una leggenda macabra vuole
che nelle notti di bufera il fantasma di un detenuto evaso dalla prigione di
San Nicola si aggiri sull’isolotto reggendo la propria testa tra le mani e
urlando per lo strazio della decapitazione avvenuta proprio su quest’isola dopo
la ricattura.


Negli ultimi decenni, l'amministrazione delle isole sta cercando la strada per la valorizzazione ed il suo sviluppo turistico. È uno dei luoghi più belli e incontaminati dei nostri mari, uno dei luoghi ancora selvaggi e per questo meritevoli di grandi cure e attenzione. Se fossimo saggi.
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