domenica 1 maggio 2011

ARC 2010 - Un giorno in Atlantico


È da tre giorni ormai che navighiamo di bolina contro un mare che ci sta frullando tutti. Siamo in pieno oceano e non ci sono ridossi da raggiungere.
Il vento era venuto come una benedizione dopo quasi 24 ore di assoluta calma passate a ciondolare tentando di andare dritti per la nostra rotta. Prima nel pomeriggio un vento al traverso molto debole ci aveva dato un po’ di spinta e poi, dopo una rotazione a sinistra, una bella bolina larga ci aveva regalato molte miglia e velocità in rotta per Saint Lucia.
La notte aveva poi rimescolato le carte e ora ci ritroviamo con quasi 30 nodi e un mare bello mosso che ti invita alla prudenza solo a guardarlo.
Timoniamo con estrema attenzione per non rovinare l’attrezzatura e cercando di non picchiare sulle onde. Trovare lo spazio per mantenere la barca veloce e sicura è difficile e diamo fondo a tutte le nostre energie. Siamo in regata, ma siamo anche da soli in mezzo all’Atlantico e dunque pensiamo prima di tutto a non rompere niente. Con due mani alla randa e il fiocco olimpico Alcor V, un First 47.7, sembra ben equilibrata ma il vento non accenna a mollare. Il satellitare funziona malissimo, non riusciamo a scaricare le previsioni meteo e non abbiamo notizie delle altre barche.
Tentiamo di seguire al meglio la nostra rotta e pensiamo di continuo a come ridurre gli sforzi e il disagio che ormai si va accumulando da tre giorni e tre notti.
È diventato difficile mangiare, dormire e perfino andare in bagno.
Ci sembra di essere nel cestello della lavatrice con un programma di lavaggio per panni molto sporchi. Ora siamo alla centrifuga …
È la prima volta che partecipiamo all’ARC e tutti ci avevano detto che avremmo trovato sempre venti portanti, mai avremmo pensato a tanti giorni di bolina, e invece è proprio quello che stiamo facendo.

Ci tornano alla mente le vecchie nozioni di meteorologia. Per come siamo messi l’unico modo per ritrovare un po’ di pace è cercare l’alta pressione che dovrebbe essere avanti e a sinistra. Bisogna virare e stringere i denti ancora per una mezza giornata.
Lo facciamo e lentamente, molto lentamente, il mare comincia a mettere in ordine le sue onde e rinuncia a mandarci continuamente secchiate d’acqua in coperta.
Esco in pozzetto per il mio turno e mi rendo conto che finalmente anche il mal di mare è andato via. Sono di nuovo in sintonia con le onde e con la barca e faccio meno fatica a muovermi.
A metà giornata capiamo di aver fatto la scelta giusta, il mare è molto più calmo e il vento è ridiventato gentile.
Pian piano escono tutti in pozzetto e si tirano fuori le cerate bagnate che finiscono stese sul boma e sulle draglie. Gli sguardi sono più sereni e limpidi.
Ora siamo davvero un equipaggio. Per chi va in barca non c’è nulla che unisca e aiuti a creare il gruppo quanto un’esperienza del genere. Manca solo una cosa e Gianluca capisce al volo. All’ora di cena lo sento armeggiare tra pentole e fornelli. Finalmente ci chiama: è pronto in tavola.
Un piatto di pasta e patate sul grande mare oceano! Squisito, cucinato in maniera impareggiabile e ci divertiamo a riconoscere gli ingredienti: cipolle, guanciale, … nel mio piatto è capitata una scorzetta di parmigiano che mi fa saltare dalla sedia . È così che la prepara anche mia madre!
Sorrido.
Domani ci aspetta un altro giorno di vela.


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Pubblicato su BOLINA numero 283

1 commento:

Gianluca Ferrante ha detto...

Grazie!! La migliore recensione che abbia mai avuto :)
Mica lo sapevo che avevi un tuo blog... metterò la ricetta che hai citato sul mio "velacucino",anche se non e' una ricetta proprio estiva...

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