lunedì 27 febbraio 2017

Piccole barche per velisti grandi


Mentre passeggio con mio figlio nel parco sulla riva del lago Miseno e cerco di raccontargli che proprio lì duemila anni fa erano ormeggiate le navi della potente flotta romana, la nostra attenzione viene immediatamente catturata da alcuni modellini di barchette telecomandate a vela che sfrecciano rapide nell'acqua con giusto un sospiro di vento.
La vela radiocomandata è considerata una disciplina sportiva e viene regolamentata dalla FIV (Federazione Italiana Vela) e dal CONI in Italia, mentre a livello internazionale dall’ISAF- IRSA (International Radio Sailing Association).

Siamo colpiti dalla velocità di queste barchette, dai colori degli scafi, dalle scritte sulle vele, dal modo in cui si muovono in acqua: insomma, sono delle copie quasi fedeli delle barche più grandi.
L’associazione di riferimento è Modelvela che ha lo scopo di far crescere la vela radiocomandata integrando al suo interno, oltre alla IOM e M sotto descritte, anche nuove classi come Footy, RG65, Dragon Force, AC100  per far crescere gli skipper nelle varie categorie con regate sempre più numerose e competitive.

Ne approfitto e cambio subito argomento, cercando di spiegargli come quelle barchette stanno usando il vento per navigare e come i signori sulla riva le controllano con un radiocomando uguale a quello che lui usa a casa per la sua macchinina. Gli dico anche di guardare le vele, sulle quali c’è un numero per identificare la barca e un simboletto (un cerchio scuro con una I al centro)per identificare la classe, e questo significa che quelle barche sono uguali e possono gareggiare tra di loro.
La classe M (o Marblehead) è una classe di prototipi nella quale una grande libertà viene concessa a progettisti e costruttori. Le principali restrizioni riguardano la lunghezza fuori tutto (129 cm.) e la superficie totale delle vele (5.161 cm. quadrati). La nascita della classe è collocata nel 1931 nella città di Marblehead, da cui il nome, ed è la classe più diffusa al mondo. I progetti attuali si indirizzano verso scafi stretti e lame di deriva profonde per contrastare lo sbandamento. I materiali usati sono il carbonio e l’allumino, gli alberi rotanti ed il risultato offre barche leggere, maneggevoli e molto veloci. 

La classe IOM (International One Meter) è nata circa vent’anni fa per affiancare gli scafi di classe M diventati molto sofisticati e costosi. Il regolamento di stazza è molto restrittivo e  impedisce l'uso di materiali che si ritenevano allora costosi, come il carbonio per lo scafo e l'attrezzatura, e limita il peso minimo a quattro chili. Sono anche vincolate le dimensioni dello scafo, appunto un metro, e le dimensioni delle vele sono fisse, consentendo così a barche anche vecchiotte e costruite artigianalmente di essere abbastanza vicine come prestazioni alle barche più nuove.
Mentre cerco di spiegare qualche manovra, un giro di boa o una discesa in poppa, lo guardo e vedo che freme dalla voglia di afferrare un radiocomando, e cominciare a giocare a modo suo. Vorrebbe prendere la barchetta a un passo da noi che sta sul suo piccolo invaso e metterla in acqua, mentre il proprietario invece ci gira intorno e non riesce a trovare la misura dello svergolamento della randa. A lui questo non importa, a lui interessa solo giocarci.

In fondo tutto si riduce a questo. Un gioco, per piccoli e per grandi, come il biliardino o le freccette. Un gioco anche complesso, come una partita a scacchi. Un gioco col vento. Un gioco divertente, come la vela.

sabato 4 febbraio 2017

Da Nisida a Bagnoli: acqua, ferro e fuoco


Navigando verso ovest, subito dopo Posillipo, compare l’isola di Nisida, l’antica Nesis dei Greci, attualmente sede di un carcere minorile e di alcuni presidi militari. Non è aperta al pubblico da lunghi decenni e può essere visitata soltanto in alcune sporadiche occasioni.
Secondo alcuni studiosi questa sarebbe l’isola di Polifemo e Ulisse sarebbe approdato nel piccolo e bellissimo Porto Paone, non visibile da terra ma solo dall’alto del carcere minorile o da mare, dove avrebbe lasciato le sue navi prima di salire nella vicina grotta di Seiano abitata dal gigante. La grotta si può vedere entrando nel golfo di Pozzuoli e lasciando a Nord la stessa Nisida. A mezza collina di Posillipo, sulla destra, si vede bene l’ingresso scavato in epoca romana e che conduce alla villa di Publio Vedio Pollione, mentre ai tempi del mito probabilmente essa doveva apparire allo stato grezzo.
Possiamo collocare qui l’ideale inizio dei Campi Flegrei, una vasta area ricca di manifestazioni vulcaniche che vanno dall’emissione di gas solforosi attraverso fumarole e soffioni (Solfatara di Pozzuoli) ai pozzi e sorgenti di acqua termale (Bagnoli, Ischia, le Terme di Agnano, le Terme Puteolane, quelle di Baia e Lucrino) o ai periodici fenomeni di sollevamento e abbassamento del suolo (bradisisma).
Dal punto di vista geologico siamo in una grande caldera in stato di quiescenza del diametro di circa 15 chilometri che inizia in questo punto e ricomprende l’isola di Ischia ad ovest e l’entroterra di Pozzuoli e Bagnoli a Nord.
 Bagnoli
Il nome di questo quartiere, l’ultimo del comune di Napoli, deriva probabilmente da Balneolis, piccoli bagni, in quanto ospitava, prima degli insediamenti industriali sorti lungo tutto il 900, numerosi stabilimenti termali e ancora oggi in alcuni punti del litorale sono visibili pozze di acqua calda appena sotto il primo strato di sabbia.
I primi insediamenti industriali risalgono alla fine dell’Ottocento, con le vetrerie borboniche, e sono poi proseguiti con le acciaierie dell’Italsider e con l’indotto ad esse collegato (cemento, amianto, ecc.) Tutte queste attività sono state dismesse negli anni Novanta dando origine ad un profondo e incompiuto disegno di bonifica e riqualificazione dell’area.
Il primo passo fu mosso negli anni ‘90 con l’avvio delle attività di Città della Scienza, il primo museo scientifico interattivo in Italia. Costruita attraverso il recupero di numerosi manufatti industriali del secolo scorso, Città della Scienza ha ospitato al suo interno numerose iniziative didattiche e risulta uno dei siti preferiti dalle scuole per avvicinare e incuriosire i giovani di ogni età al mondo delle scienze e della ricerca.
Circa quattro anni fa, il 4 marzo 2013, è stata parzialmente distrutta da un incendio e i suoi resti anneriti sono purtroppo ancora ben visibili da mare, a dispetto delle solite dichiarazioni di immediata ricostruzione.
Simbolo della riconversione può essere considerato il lungo pontile a cui attraccavano le navi per lo scarico dei minerali che alimentavano i quattro altoforni della fabbrica. 
Il pontile Nord, lungo circa 900 metri, è diventato una spettacolare e suggestiva passeggiata sul mare. Nella sua punta estrema il fondale è di circa 15 metri che degradano dolcemente verso riva. Sul fondo esistono numerosi rottami industriali che forse non saranno mai rimossi, ma ancor più grave è la presenza di catrame e bitume che restano depositati sulla sabbia a testimoniare oltre 100 anni di pesante produzione industriale. L’acqua appare sufficientemente pulita e numerosi sono i segni di vita subacquea sia vegetale che animale.
Tra il pontile Nord e il pontile Sud, più piccolo, nel corso del tempo è stata creata una vasta area sottratta al mare, la colmata, che serviva come parco minerali. Da qui i minerali di ferro e carbone fossile venivano poi inoltrati agli impianti per le fasi successive. I minerali di ferro erano avviati all'agglomerazione, dove erano mescolati ad alta temperatura con altri minerali per aumentarne la corposità. Il carbone invece veniva mandato in cokeria per prepararlo all'altoforno.

Questi due processi erano necessari per ottenere la cosiddetta carica, cioè un composto stratificato di minerale ferroso, carbon coke e calcare, che poi veniva introdotta nella bocca dell’altoforno. L’unico altoforno rimasto lo si vede sulla sinistra, AFO 4, con ancora la struttura per portare in alto la carica e i cowper, quegli enormi cilindri accanto, scambiatori di calore utilizzati per riscaldare la carica man mano che scendeva verso il ventre. Il ferro fuso, mescolandosi con il coke, si arricchiva di carbonio raccogliendosi nel crogiolo. Il tempo di trasformazione era all'incirca di sei ore.
La ghisa liquida così prodotta veniva spillata dall'altoforno almeno 3 volte al giorno, una fase della lavorazione molto pericolosa poiché veniva eseguita manualmente da un operaio, e inviata in acciaieria con dei vagoni ferroviari dalla strana forma di siluri detti appunto carri siluro.

Nell' Acciaieria, quella struttura alta e rossa che sembra una gigantesca capanna, si provvedeva ad affinare la ghisa da altoforno attraverso l’aggiunta di ossigeno e l’eliminazione del carbonio. L’acciaio liquido ancora nelle siviere, giganteschi contenitori serviti per la conversione, veniva poi portato alla colata continua, un sistema di lingottiere e rulli che trasformavano i nastri di acciaio incandescente in bramme che poi venivano laminate a caldo (cioè schiacciate) per ottenere lamiere più sottili, il prodotto finale della fabbrica, anzi del cantiere di Bagnoli.

Il progetto di riqualificazione dell’’area industriale prevede la realizzazione di un grande parco urbano di circa 120 ettari che accoglierebbe al suo interno alcune testimonianze di archeologia industriale opportunamente conservate e destinate a “Museo del Lavoro”. Anche la spiaggia dovrebbe essere recuperata e restituita alla balneazione attraverso l’eliminazione della “colmata”.

Ai margini del parco, in un’area di circa 70 ettari, è prevista la realizzazione di alberghi, attrezzature turistiche e produttive (legate alle tecnologie verdi) e residenze private. Ancora in discussione e senza certezze e la realizzazione di un approdo per la nautica da diporto di circa 700 posti barca.
Al momento sono aperti 3 cantieri:
1 - Porta del Parco, che in buona sostanza è un grande parcheggio con una sala conferenze per congressi e che poi dovrebbe ospitare piscine termali, saune, bagni turchi, solarium e strutture per l’idroterapia.
2 - Parco dello Sport, ovvero un parco sportivo di oltre 30 ettari e un campeggio di circa 25.000 mq.
3 - Acquario tematico per le tartarughe marine e sede di esposizioni sul tema del mare. La sede è nell’ex impianto trattamento acqua (TNA).
Tutte le gare per la realizzazione del centro alberghiero son andate deserte e le incertezze nella bonifica non incoraggiano gli investitori a scommettere sul futuro dell’area.
Forse è superfluo dire che l’intera area è sotto sequestro per irregolarità nella bonifica e che ogni previsione di completamento dei lavori è impossibile.
Un precedente che risale al 1889 può essere considerato come paradigma dell’attuale situazione. 

Lamont Young, urbanista e architetto napoletano a dispetto del nome, voleva trasformare Bagnoli in una nuova Venezia. Il progetto prevedeva una metropolitana con un l’attraversamento circolare della città e arrivo e partenza da Coroglio, appunto l’area ora occupata da quello che resta dell’Italsider. Prevedeva la realizzazione di un canale da Mergellina a Coroglio e il relativo materiale di risulta degli scavi sarebbe stato utilizzato per costruire un Rione Venezia a ridosso di Posillipo.

L’idea era creare un quartier fatto di tanti isolati sull’acqua, alberghi, lidi turistici e giardini pensili. Lamont Young ottenne tutti i permessi per iniziare i lavori nel 1892 ma non riuscì a trovare i capitali necessari e quindi consegnò, purtroppo, quest’area al suo stato di abbandono attuale.
Alle spalle del Pontile Nord, proprio nel punto da cui si proietta sul mare, si è insediata da quasi vent’anni una realtà imprenditoriale interessante, l’Arenile, che resiste al degrado circostante e riesce a offrire nella lunga estate napoletana spettacoli e relax, contribuendo all’economia del quartiere e, pur con qualche mugugno per il frastuono e il traffico, ponendosi come esempio per il futuro e sperato rilancio dell’area.

Dal mare sono visibili i gazebo e il verde delle piante proprio sotto il bruttissimo profilo dell’istituto nautico “Duca degli Abruzzi” che ospita un interessante Museo del Mare.
Un piccolo e basso edificio giallo verso ponente, il Dazio, dopo una lunga striscia di scuole di ogni ordine e tipo, segna la fine della città di Napoli e l’inizio di Pozzuoli.

mercoledì 1 febbraio 2017

L’isola del Sale

 
Uno sbuffo di aliseo poggiato sull’oceano Atlantico.

Un paesaggio di rocce e di sabbia sferzato dal vento.
L’ilha de Sal.
Nel mezzo dell’oceano, così lontana da essere scoperta solo nel 1400, così aspra da non avere né acqua per le coltivazioni né legno per le costruzioni.
Si arriva all’aeroporto intitolato ad Amilcare Cabral, eroe dell’indipendenza di Capoverde conquistata duramente solo nel 1975, e si va subito verso sud, a Santa Maria, la zona residenziale con una serie di servizi secondo gli standard europei. Si percorre una strada nuovissima, non ancora completa, che corre nel deserto. Nelson, la guida che mi accompagna, ci tiene a dire che questa strada la stanno costruendo loro e che “i portoghesi in 500 anni non hanno lasciato niente qui a Sal, nemmeno una strada hanno costruito”.

A Santa Maria si vive un’atmosfera internazionale: tanti sono gli europei residenti e tanti sono i capoverdiani che vivono di turismo. Il pontile è il punto di imbarco per ogni tipo di escursioni e fin dal mattino si anima di pescatori che rientrano dalla pesca e usano il pontile per pulire e vendere il pesce ai ristoranti e ai turisti. Tonni, pesci spada, lampughe e perfino murene e barracuda sono in mostra e pian piano puliti e sfilettati. Sono numerosi i complessi alberghieri e residenziali sorti negli ultimi anni e molti non sono stati completati a causa del crollo del prezzo degli immobili dovuto proprio all’eccessiva offerta. 

Santa Maria - Pontile dei pescatori
Tornando a Nord sulla destra c’è Kitesurf Beach, una lunga striscia di sabbia di almeno 5 o 6 chilometri che è il paradiso del kite, come mi dice Nelson, e a conferma delle sue parole si vedono centinaia di kite che oscillano nel vento. L’aliseo è potente in inverno e la direzione è side-on, il meglio che si possa avere.
La destinazione è Palmeira, anche qui si vive di pesca e nei pressi del porto c’è la statua di Antonio, un famoso pescatore di tonni, che sembra uscito da un cartone animato giapponese. Il porto è soprattutto destinato ad ospitare cargo per il carburante delle compagnie aeree che operano sull’isola e grossi e visibili sono i depositi che sfregiano il paesaggio. Necessari ma brutti.
 
Espargos, la capitale, ha una chiesa cattolica all’ingresso e trasmette forte la sensazione di una profonda povertà tutta intorno ad essa. Nonostante ci si trovi in una delle nazioni africane più ricche qui esistono enormi problemi di distribuzione della ricchezza e non si riesce a nasconderli. L’acqua potabile viene estratta dal mare, attraverso impianti di desalinizzazione, ma non raggiunge tutte le abitazioni e capita spesso di incrociare bambini che vivono nelle favelas occupati a spingere carriole piene d’acqua comprata al funtaneiro, stazione di distribuzione pubblica gestita dal governo. Anche qui a Capoverde esiste l’immigrazione clandestina e non è raro sentire i capoverdiani sparlare ed inveire contro la comunità senegalese che si è formata di recente dopo alcuni sbarchi. 

Sempre nei pressi della capitale, verso nord, è possibile osservare il Miraggio di Terra Boa: quando il sole è alto sembrano apparire all’orizzonte grandi laghi proprio lì dove invece ci sono solo sabbia e pietre. 

Belle sono anche le piscine naturali di Buracona, grossi bacini rocciosi sopra il livello del mare che sono alimentati dalle onde dell’oceano che frange con spettacolari giochi d’acqua, e l’occhio blu, un buco nella roccia profondo circa quindici metri e collegato al mare da un passaggio sotterraneo di circa ottanta metri, che si colora di un blu intenso quando il sole è a picco. 


Passando all’altro lato dell’isola si arriva alle Saline di Pedra Lume, un luogo dall’aria misteriosa. Si accede da un tunnel scavato nella roccia e si sbuca nel cratere di un vulcano che è allagato dall’acqua marina che si intrufola da qualche parte. L’azione del sole, unita probabilmente ad un riscaldamento dal basso, aiuta l’evaporazione e dunque l’estrazione del sale dall’acqua. Fino agli anni ’50 l’industria era fiorente poiché il sale serviva alla conservazione del cibo mentre oggi, non essendoci più questa necessità, solo sporadicamente si provvede alla raccolta. Il bagno nelle piscine naturali è una esperienza divertente: si galleggia come tappi di sughero e senza alcuno sforzo poiché l’acqua è 25 volte più salata che in mare aperto. Pare che l’acqua di queste piscine abbia effetti benefici sulla pelle e qualcuno mormora che faccia ringiovanire di dieci anni. Nel dubbio conviene fare due o tre bagni, tanto male non fa…


Punta Preta è sulla costa occidentale, non distante da Santa Maria per concludere il giro, ed è famosa tra i surfisti per la forte risacca che, abbinata al vento da terra, forme onde leggendarie. Il surf è uno di quegli sport che va visto da vicino, in televisione è troppo scontato, e posso assicurare che seduti sulla spiaggia vedere qualcuno che all’improvviso si alza in piedi sulla tavola e comincia a cavalcare l’onda è davvero uno spettacolo.

Arsa dal sale, sfibrata dal vento e poggiata sulle onde dell'oceano: Sal, l'isola senza semafori e con una sola strada.

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...