mercoledì 30 novembre 2011

Il mare non è sempre più blu


Il mare deve ogni giorno difendersi dalle aggressioni che da noi riceve e che ne turbano l'equilibrio e la capacità di autocura. Scarichi di ogni tipo, plastica abbandonata in acqua, navi cisterna che lavano le stive, superpetroliere che affondano, campi di trivellazione petrolifera e che stillano rifiuti di greggio senza soluzione di continuità, lo avvelenano e lo spopolano.
Il grido d’allarme è stato lanciato da più parti e si sta cominciando a delineare una strategia, sia pure del tutto empirica, che un qualche risultato potrebbe cominciare a produrlo.
Dall’Unione Europea è stata avanzata una proposta (inascoltata) di utilizzare nell’attività di decontaminazione e disinquinamento proprio gli stessi pescatori rimasti disoccupati per effetto della contrazione delle quantità di pescato disponibili.
Uno studio dell'anno scorso - già citato in questo blog (15 giugno) - ha reso noto che nelle acque del Mediterraneo si trovano 250mila milioni di piccoli frammenti di plastica e 500 tonnellate di materiali inquinanti disciolti tra le onde: questi dati sono di una tragicità assoluta per tutti i popoli che si affacciano sul nostro mare e ci devono spingere a reagire subito, vista la velocità con cui lo abbiamo danneggiato negli ultimi decenni.
Un progetto pilota affidato ai pescatori è partito in Francia e sarebbe auspicabile che altre nazioni mediterranee iniziassero a seguire la stessa strada. Anche in tempi di vacche magre.
I pescatori sono coloro che vivono quotidianamente il mare, ne hanno per cultura, per storia familiare, per tradizione una forma di rispetto e conoscenza che non si può insegnare e trasferire se non con il tempo e il legame atavico. Sono la categoria sociale ed economica più indicata per prendersene cura, per svolgere ora e nel futuro il ruolo di sentinella e curandero sia attraverso la collaborazione con gli organi dello Stato che attraverso l'autorganizzazione in cooperative che abbiano come attività collaterale anche la cura del mare.

Come si pulisce il mare

Una tecnologia interessante, e già utilizzata in più occasioni, viene dall’utilizzazione di “batteri mangiapetrolio”, microrganismi ghiotti di idrocarburi e capaci di digerirli. In effetti esistono diversi tipi di batteri con caratteristiche specifiche, in grado cioè di attaccare e decomporre uno o pochi tipi di molecole idrocarburiche.

Con tecniche biotecnologiche si è riusciti a trasferire ad un unico batterio la capacità di degradare tutti gli idrocarburi presenti nel petrolio rendendo così più veloce ed efficace il risanamento dell’ambiente sporcato da questi. Questa strategia di intervento fu messa a punto per la prima volta in occasione del famoso incidente della superpetroliera Exxon Valdez nel 1989 (ricordate, ad esempio, Waterworld con Kevin Costner?), e rimane uno dei sistemi ad oggi più utilizzati.
Un approccio completamente diverso è rappresentato dalla proposta di Francesco Stellacci del MIT di Boston, che ha realizzato una speciale carta assorbente capace di asciugare una quantità di liquido pari a venti volte il suo peso. La "carta" può essere riutilizzata più volte, basta strizzarla come si farebbe come con una qualsiasi pezza, e il petrolio che ne verrebbe fuori sarebbe riutilizzabile. La carta è fabbricata con l’utilizzo di nanotecnologie e assorbe solo petrolio, può essere lasciata in acqua per mesi senza assorbire neanche una goccia di acqua ed è estremamente economica da produrre.
Per estrarre il petrolio basta farlo evaporare esponendolo a forti fonti di calore e il foglio ritorna pronto per essere riutilizzato.
Sulla stessa linea, anche se meno tecnologica e più immediatamente applicabile, è una proposta che viene Biella e che si basa sul riutilizzo della lana grezza e di un sistema tecnologico denominato Wores. In buona sostanza si sfrutterebbero le naturali proprietà idrorepellenti della lana e la sua capacità di assorbire olii, e i vantaggi economici dei produttori di lana, perchè si tratterebbe dell’impiego di uno scarto di lavorazione con nessuna utilità. Il sistema Wores, la parte meccanica, potrebbe essere installato su navi di qualsiasi dimensione per spargere in mare la lana e poi recuperarla attraverso appositi scivoli. Una volta svolto il suo compito, strizzata con apposite presse, può essere riutilizzata per almeno dieci volte.
Al termine del suo ciclo la lana potrebbe essere smaltita nei termovalorizzatori che sfruttano le proprietà termiche del petrolio.
Per rimuovere i rifiuti solidi galleggianti si fa ricorso a speciali battelli attrezzati che vengono definiti spazzamare e solitamente sono in dotazione alle aree marine protette, ad alcuni comuni virtuosi e alle province.
Un battello spazzamare in genere ha una cesta a prua che una volta piena viene ribaltata nella stiva dove i rifiuti vengono differenziati e stoccati. Per essere efficace l’intervento di un simile mezzo deve essere quotidiano e per una durata di almeno 6 - 8 ore e nei luoghi indicati dagli esperti delle marine o dove appare maggiore la concentrazione di rifiuti galleggianti. E' di fondamentale importanza la collaborazione con le cooperative di pescatori o con i noleggiatori di imbarcazioni e la Capitaneria di Porto.

Meglio prevenire quando si può

Pulire il mare è difficile e costoso.
La cosa migliore da fare quindi è intervenire prima che l’inquinamento si verifichi, anzi, prima ancora che venga concepito, rendendolo economicamente poco conveniente prima ancora che inaccettabile dal punto di vista morale.
E allora occore intervenire con una produzione legislativa severa, che preveda sanzioni gravose per chi immetta sostanze inquinanti nelle acque pubbliche. Individuare i responsabili è abbastanza semplice: basta percorrere le coste e individuare gli scarichi e gli sversatoi criminali. A quel punto fare un prelievo e un’analisi delle sostanze versate in acqua è cosa semplice. I soldi delle sanzioni potrebbero poi essere utilizzati per potenziare la bonifica e i controlli delle acque pubbliche e del mare.
Naturalmente lungo le coste vanno realizzati anche gli impianti di depurazione, magari riuscendo a realizzare impianti differenziati a seconda che nel comprensorio ci siano aree industriali, per i quali sono necessari impianti in grado di dissolvere solventi organici, oli liberi ed emulsionanti che avendo un peso specifico più basso dell’acqua formano una pellicola sulla sua superficie impedendone l’ossigenazione, o aree ad alta concentrazione di popolazione e quindi impianti utilizzati soprattutto per la depurazione di escrementi (portatori di microrganismi patogeni quali tifo, colera ed epatite).
In genere l’acqua è in grado di depurarsi da sola, a condizione che la percentuale di ossigeno disciolto in acqua sia sufficiente per ossidare tutte le sostanze inquinanti presenti, altrimenti si formano prodotti come il metano, l’ammoniaca, l’acido solfidrico che fanno scomparire ogni forma di vita nell’acqua.
Pensare di risolvere il problema dell’inquinamento del mare con i depuratori non è diverso dal pensare di risolvere il problema dei rifiuti urbani attraverso i termovalorizzatori. E’ lo stesso tipo di approccio che sembra risolvere il problema mentre invece lo sposta soltanto.
Bisogna risalire più a monte nella catena produttiva.
Ma questa è una storia che va raccontata un passo alla volta.

martedì 22 novembre 2011

"La mia barca sicura"

Riflettiamo sulle disavventure degli altri e facciamo tesoro delle loro esperienze? Riusciamo ad imparare dai nostri errori? Esiste una barca che possa affrontare qualunque mare, oceano e tempesta?
A queste domande prova a rispondere l'autore, uno degli uomini di mare con il percorso più originale e con tante miglia nella propria scia.
Ernesto Tross è un autocostruttore che ha progettato e realizzato 9 barche sulle quali ha lungamente e largamente navigato nell’oceano Indiano.
In questo libro parte da alcuni racconti di esperienze difficili ed estreme vissute da equipaggi impegnati in regate e navigazioni per individuare i comportamenti più corretti e i punti deboli dell’attrezzatura.
Di naufragio in naufragio, di tempesta in tempesta ci terrorizza con racconti di esperienze che nessuno vorrebbe mai vivere ma che, prima o poi, sia pure in scala minore, a molti di coloro che vanno per mare, capitano. Sono quelle situazioni in cui ognuno vorrebbe una barca inaffondabile, diciamo un sommergibile, oppure vorrebbe aver scelto un altro passatempo, un qualcosa tipo l'origami...
E qui lo spirito del costruttore viene fuori. Mette insieme tutti gli spunti che vengono dalle analisi della prima parte e costruisce la sua proposta.
Il risultato è una barca in alluminio di 10 metri, un albero posizionato molto a poppa senza randa ma con 3 fiocchi, una prua molto larga a T per ormeggiare di prua e accedere alla barca dal pontile con comodità e un dritto di prua verticale per non cedere alla lunghezza al galleggiamento, una deriva mobile a baionetta, un motore fuoribordo da 25cv da usare solo per le manovre in porto, uno scafo senza alcun buco nell’opera viva ma con un sistema di tubi che scaricano sopra la linea di galleggiamento, una serie di portelli stagni che dividono gli interni in tre sezioni chiudibili ermeticamente e pannelli solari per la produzione di elettricità.
Le soluzioni innovative sono molte e non si può certo dire che gli manchi il coraggio di sperimentare, fino all'estremo.
Dalle fotografie disponibili si può affermare senza alcun dubbio che la barca è brutta. La scelta di non armare la randa potrebbe penalizzare non poco la navigazione contro vento e francamente non mi sembrano del tutto convincenti le motivazioni da lui addotte - legate alla sicurezza - per una simile rinuncia.
Di sicuro interesse le soluzioni per le prese a mare, che sono realizzate ben al di sopra dell’opera viva. Del resto anch’io ho spesso affermato che fare un buco in una cosa che deve andare in acqua è da deficienti e se i cantieri ci cominciassero a pensare sarebbe una cosa sana... Mai provato a sgottare acqua per ore con il mare agitato?
Per il resto è difficile valutare l’Orso Bianco solo sulla base del progetto. Ho letto su Bolina che ha fatto mostra di discrete prestazioni sotto vela ma sinceramente resto ancora perplesso.
Di sicuro posso affermare che è un contributo importante per mettere la sicurezza in primo piano e, fosse anche solo per questo, è un libro da leggere e poi rileggere.


Ernesto Tross, La mia barca sicura, Nutrimenti

giovedì 10 novembre 2011

Napoli e l’America's Cup: - 138 giorni

Oramai è ufficiale da più di un mese. Le World Series dell’America’s Cup, le regate preliminari alla più importante e antica regata del mondo, fanno una doppia tappa a Napoli. Il primo appuntamento è tra il 7 e il 15 aprile 2012. L’anno dopo, nel 2013, le regate si terranno in maggio, tra il giorno 11 e il 19 e questo sarà l’evento conclusivo dell’intero ciclo delle World Series. Poi i team voleranno a San Francisco per la Louis Vuitton Cup e le finali dell’America’s Cup.
Queste regate sono pensate pensate con percorsi brevi e stretti per mantenere le barche vicine e contenere i tempi di percorrenza sia per consentire lo svolgimento di più prove al giorno che per rendere lo spettacolo più adatto ai tempi televisivi e alle esigenze del pubblico assiepato sulle banchine. Il nuovo formato della manifestazione comprende una prova di velocità pura, un evento di match race e una serie di regate di flotta che vedranno impegnati sulla linea di partenza nove catamarani (AC45) identici.
A curare l’organizzazione degli eventi sarà un consorzio composto dalle autorità locali, comprendente la Regione Campania, la Provincia, il Comune e l’Unione degli Industriali di Napoli riuniti in un consorzio denominato ACN srl ( America’s Cup Napoli).
Alla conferenza stampa di Castel dell’Ovo dello scorso 17 ottobre, dove insieme a Worth dell’Acea Management erano presenti tutti i rappresentanti delle istituzioni locali, hanno partecipato anche Aurelio De Laurentis e Francesco De Angelis. Sul primo ... che dire? ... , mentre sul secondo ho l’impressione che sia stato invitato solo per fare da traino alla conferenza stampa, ma che nessuno abbia in serbo un ruolo per lui, nè sportivo nè organizzativo..
A pensar male si fa peccato ma difficilmente si sbaglia...

Un team napoletano?
Anche questo è un annuncio della conferenza stampa. A me è sembrato fin dall’inizio più uno slogan che un progetto. Ad una riunione tra circoli velici napoletani sono emersi nomi e proposte, ma nessuna idea concreta, nessun percorso nemmeno lontanamente praticabile.
Non è pensabile che un’avventura di queste proporzioni possa essere lasciata alla buona volontà di qualche appassionato e di qualche giovanotto di belle speranze.
Servono capitali e professionisti.
E tanta serietà.
Purtroppo non ce n’è.
Di serietà.
Qualcuno mormora di un rientro di Mascalzone Latino.
Personalmente sono scettico. Ha avuto la sua possibilità, una grande e importante opportunità. Non credo che a questo punto abbia le risorse tecniche e economiche per rientrare nel giro e nemmeno credo che il tentativo abbia un senso dal punto di vista sportivo e di immagine.

Invece Luna Rossa...
La notizia era nell’aria da alcune settimane e finalmente dagli inizi di novembre è diventata ufficiale: Luna Rossa parteciperà alla prossima America’s Cup. La sfida è stata lanciata attraverso il Circolo della Vela Sicilia di Palermo ed è stata accettata dal Golden Gate Yacht Club di San Francisco lo scorso 3 novembre. Il budget che Prada ha messo a disposizione del team è di circa 40 milioni, come ha ufficialmente dichiarato in una nota trasmessa alla borsa di Singapore in cui il titolo è quotato, e anche il percorso tecnico e sportivo è stato accuratamente programmato. Luna Rossa e il sindacato Emirates team New Zealand hanno firmato un accordo di collaborazione per tutto il prossimo anno che comprende il completo accesso alla progettazione e ai dati delle prestazioni degli scafi del team in questo periodo. I nuovi AC 72 di Luna Rossa saranno costruiti in Italia mentre tutta la componentistica sarà costruita in Nuova Zelanda. Sempre nel corso del 2012 Luna Rossa aprirà una base sportiva ad Auckland per gli allenamenti congiunti con il team di Grant Dalton sui nuovi AC45 ad ala rigida con cui probabilmente farà il suo esordio a Napoli. Attualmente Luna Rossa partecipa alle Extreme Sailing Series, circuito riservato ai catamarani della classe Extreme 40, ed è primo in classifica generale. Si preannuncia un rientro di grandissimo significato tecnico e sportivo.


Appalti in corso
Il 15 novembre scade il termine per la presentazione delle offerte e dovremmo conoscere il nome di chi si aggiudicherà l’appalto di quasi 20 milioni per eseguire tutti i lavori di preparazione per le opere previste sia a terra che a mare. I progettisti di Bagnolifutura, sulla base del contratto con l’Acea, hanno tracciato i disegni di un “bellissimo” campeggio di quasi 15 mila metri quadrati fatto di di tubi, cemento e piante ornamentali con tanti tendoni, schermi, aree Vip e tribune per vedere le regate (ma non si fanno in mare?) che costeranno all’incirca otto milioni, mentre per le opere a mare (pontili per l’ormeggio dei vari mezzi di servizio, frangiflutti, area per la movimentazione e l’ormeggio dei catamarani in gara, etc.) è prevista una spesa di altri dieci milioni almeno. Tutti soldi che una volta spesi non saranno di alcuna utilità alla crescita economica e infrastrutturale dell’area. Intanto al sopralluogo previsto dal bando pubblico hanno partecipato i rappresentanti di ben 35 aziende che hanno espresso la propria manifestazione di interesse alla partecipazione alla gara di appalto. Ancora pochi giorni e conosceremo i nomi. Intanto due giorni fa è stato firmato un “Protocollo di Legalità “ in Prefettura tra Comune, Provincia e Regione Campania per abbassare il limite di attenzione per gli appalti a 150.000 euro per scoraggiare i tentativi di infiltrazione camorristica nei lavori legati alle opere dell’America’s Cup.

Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...