martedì 28 agosto 2012

Il Mascalzone abbandonato


NAPOLI - Sta lì ormai da qualche anno. In una curva di Via Marina, a pochi metri dall'imbarco degli aliscafi per le isole e a pochi metri dalla sede dell'associazione sportiva che ha il suo stesso nome e che dovrebbe pubblicizzare e simboleggiare. Si, parlo di Mascalzone Latino, o meglio di uno dei Mascalzoni costruiti per l'America's Cup, e che è stato sistemato in pompa magna (sindaco, assessori e presidenti vari alla cerimonia) sul suo invaso come simbolo della tecnologia e dell'industria nautica proprio lì, in mezzo al traffico, anzi in una delle strade più trafficate di Napoli, a prendere fumi di scarico e cacca di piccioni dalla mattina alla sera.
Parecchi metri più in là, oltre la darsena borbonica, c'è la sede del neonato circolo omonimo che da un paio di anni organizza corsi di vela per ragazzi che vivono in condizioni di disagio sociale ed economico e per avviare chi fra loro lo desideri alle professioni del mare.
Se quello scafo abbandonato, con un mozzicone di albero puntato verso il cielo come un dito spezzato, vuole rappresentare lo scopo dell'associazione allore c'è un clamoroso errore di comunicazione. Se si tratta di un dono alla città o all'Autorità Portuale di Napoli, allora si deve trovare una migliore e più dignitosa collocazione. Se invece si tratta di una semplice barca, allora sarebbe bello se fosse messa a disposizione di tutti gli appassionati (non mi pare che in Italia esista nulla del genere, almeno per ora) con delle uscite a pagamento e uno skipper professionista e magari si potrebbero raccogliere un po' di fondi per la scuola vela, creando al tempo stesso un'attrazione singolare per la città. 
Intanto, imprigionato tra i fili del tram, il Mascalzone continua a prendere smog e scarichi di auto.
Per fortuna è nero. Mantiene meglio lo sporco. 

mercoledì 22 agosto 2012

Una prateria in fondo al mare

Mai visto quelle grandi sterminate praterie sott'acqua? Basta una maschera e lo snorkel e a pochi metri dalla riva si possono cercare lì in mezzo tante varietà di pesce: seppie, polipi, crostacei e molluschi. Ma di cosa si tratta? Cos'è tutto quel verde? Di seguito riporto la sintesi di un capitolo di un libricino della Lega Navale Italiana (Ambiente marino e diporto sostenibile) dedicato appunto a questa incredibile pianta acquatica. 

La Posidonia Oceanica è una pianta marina che vive nel Mediterraneo con radici, fusto (rizoma), foglie e frutti, proprio come quelle terrestri. Nei mari italiani copre una superficie stimata di circa 20.000 miglia quadrate, praticamente lungo tutto le coste della penisola con l’eccezione del medio e alto Adriatico.
Le foglie sono la parte più visibile e riconoscibile, nastriformi, larghe circa 2 centimetri e in ciuffi di 6 o 7 elementi. Ogni foglia può arrivare a superare il metro di lunghezza.
Generalmente si insedia su fondali fangosi o sabbiosi e sopporta bene gli sbalzi termici dell’acqua. Ha bisogno di molta luce e per questo si sviluppa in acque limpide e ad una profondità non superiore ai 40 metri.
La loro presenza è importante per la conservazione dell’equilibrio nell’ambiente marino poichè le praterie di posidonie rallentano il fenomeno dell’erosione della costa (le fronde smorzano il moto ondoso e le correnti mentre i fusti trattengono grandi quantità di sedimento), costituiscono una sorta di polmone verde nel mare ossigenando l’acqua attraverso la fotosintesi clorofilliana e, infine, formano un habitat favorevole alla riproduzione di numerose specie ittiche e di altri organismi marini.
Purtroppo anche i posidonieti sono in sofferenza lungo tutta le coste del Mediterraneo, a causa soprattuttutto della costruzioni di nuovi porti e dighe - che alterano lo scorrimento delle correnti costiere-, di scarichi di acque non depurate - che provocano anche l’intorbidimento dell’acqua - e della pesca a strascico, che distrugge direttamente larghe porzioni di prateria.
Il diportista può fare poco per la salvaguardia della posidonia, ma ha il dovere di farlo: gli si chiede unicamente di non dare mai fondo lì dove essa è presente per evitare di danneggiarla con le marre dell’ancora.

Ora lo sapete. La prossima volta buttate l'ancora da qualche altra parte e tuffatevi ad ammirare la vita che scorre tra quei fili d'erba nel mare.

lunedì 13 agosto 2012

Borgo Marinari, l'assurda anomalia

NAPOLI - Tutti sanno che in un porto è vietato fare il bagno.
Tutti sanno che in un porto si entra e si ormeggia oppure si lascia il proprio posto e si esce in mare aperto.
Tutti sanno che non è previsto "passeggiare" tra le barche ormeggiate nè alcun altro tipo di intrattenimento per non mettere a rischio l'incolumità delle persone (e delle barche) in una fase in cui la manovrabilità è molto ridotta e difficile.
Tutti lo sanno. 
Lo sa bene anche la Capitaneria di Porto.
Un genitore lascerebbe i propri figli a giocare all'ingresso di un affollato parcheggio cittadino? Cosa farebbe la Polizia se vedesse dei giovanotti giocare a pallone ad uno svincolo dell'autostrada o all'ingresso di un autogrill? Cosa farebbero i Carabinieri se un gruppo di ragazzini si mettesse a giocare nei pressi di un passaggio a livello? 
Cosa fa invece la Capitaneria di Porto di Napoli? 
Più di una volta, rientrando all'ormeggio di Borgo Marinari di Santa Lucia, proprio al centro di Napoli, mi è capitato di essere abbordato da ragazzini urlanti: "Aspè, capo! Voglio fa' 'nu tuffo!"
Li ho sempre ributtati in acqua invitandoli con grazia a tornare accompagnati dalle rispettive madri, ma nel frattempo ho dovuto:
1) togliere la marcia;
2) ributtare in acqua l'assaltatore estemporaneo;
3) minacciarlo insieme al branco che starnazzava intorno e voleva salire a bordo;
4) tenere la barca in movimento e al centro del canale per non urtare le altre barche e gli altri bagnanti che lì proprio non dovevano stare;
5) tranquillizare il resto dell'equipaggio;
infine, dopo aver controllato che qualche altro idiota non si fosse immerso sotto la barca approfittando della mia distrazione (è successo anche questo)
6) rimettere la marcia per allontanarmi.
Non è normale e non c'è niente di folcloristico.
Quella gente non può fare il bagno nel porto. 
E' troppo pericoloso.
Così qualcuno finisce sotto le eliche. O peggio.

 


mercoledì 8 agosto 2012

Vindicio, la palestra del vento

Quest'anno, forse ispirato dalle incombenti Olimpiadi, mentre ero in spiaggia con la mia famiglia, ho deciso di tornare a navigare in deriva (solo per gioco, per carità) e da Gaeta sono andato a Formia, sulla spiaggia di Vindicio.
Lo spiaggione è famoso soprattutto tra quelli che vanno in windsurf, perchè c'è sempre vento e l'onda non ha quasi mai il tempo di formarsi, ma lì hanno sede anche un paio di circoli e scuole FIV che utilizzano barche legate all'attività olimpica, vecchie derive, catamarani e skiff. Quello che cerco è un 470 o qualcosa che gli assomigli e, ovviamente, un timoniere.
Eh già, perchè al trapezio a fare le capriole ci voglio andare io.
Faccio conoscenza con Manuel e Marco di VelaViva e prendo accordi per alcune uscite sul 420 della scuola. 
L'ambiente mi è familiare. Chissà perchè tutti i posti in cui si va in deriva si assomigliano. C'è il giusto grado di confusione e approssimazione e sembra sempre che manchi qualcosa ... una scotta, un timone, una vela, un allievo...
Il 420 è una barca nervosa, leggera e tutto sommato con poche regolazioni. Questo in particolare è abbastanza scassato e un trapezio è senza maniglia. Galleggia, mi sembra un buon inizio.
Le uscite sono divertenti, riprendo confidenza con la barca velocemente e da subito esco al trapezio. Per fortuna abbiamo trovato un modello da uomo e riesco a stare a lungo fuori, anche se i quadricipiti cominciano a bruciare per lo sforzo e gli addominali urlano più del vento.
 La termica è puntuale ogni giorno e scopro che è molto più forte vicino alla riva, dove fa strage di windsurf per il sadico piacere di Marco che sta al timone e non si sposta mai per evitarli ("Ernè, io a questi proprio non li sopporto!"), nemmeno quando vede il terrore nei loro occhi e solo all'ultimo istante orza di un paio di metri per passargli accanto.
Il Monte Orlando, sopra Gaeta, copre l'area del porto e crea grossi buchi di vento a ponente. Il centro è occupato da uno sterminato campo di cozze e da un allevamento ittico con un passaggio nel mezzo. Il monte Gianola, lontano, chiude il golfo a levante.
Un bel giorno trovo sulla riva, mezzo armato, un 470 e Marco mi dice: "E' la barca di Manuel, oggi proviamo con questa!".
Fuori ci sono 15 nodi e dal trapezio mi sgancio solo per le virate. La barca è più stabile dell'altra, sembra nuova tanto è tenuta bene e soprattutto plana solo a guardarla. A circa tre miglia fuori a Sud ci sono i Mondiali Master 470 e vediamo gli equipaggi in regata. Dico a Marco di stare lontano e dopo un po' mi accorgo che è come con mio figlio, non mi ha proprio ascoltato.
Siamo in poppa in mezzo al campo di regata con la flotta che sale di bolina. Io potrei anche gareggiare vista l'età, Marco no. Insomma siamo le persone sbagliate nel posto sbagliato. L'equipaggio della Nuova Zelanda ci guarda perlesso. Io saluto perplesso (provate a immaginare un saluto perplesso) mentre sfiliamo di poppa e dico a Marco: "Ma non dovevamo fare bolina fino a punta Stendardo? E soprattutto che ci facciamo qui?"
"Ci sono venuti incontro velocissimi e non sono riuscito ad evitarli..."
Zandonà - Zucchetti, l'equipaggio del 470 olimpico
Dopo aver seminato il panico nella flotta riusciamo ad uscire senza aver fatto danni e ci dirigiamo verso il circolo.
Ora provate ad immaginare: al traverso con 15 nodi e senza onda, io al trapezio con il peso tutto a poppa accanto al timoniere alle cinghie e la barca che parte in una planata infinita; tutto lo sforzo è concentrato sugli addominali e sono quasi parallelo al mare per tenere la barca piatta con  gli spruzzi d'acqua che partono dal centro barca e mi colpiscono in pieno, sto sotto una cascata. E' una sensazione bellissima e quasi non avverto la stanchezza. Andiamo avanti per parecchi minuti, non saprei dire quanti, a una velocità folle e molliamo le scotte solo quando gli scogli sono vicini.
Capisco, guardandolo, che anche per Marco è stata una planata da incorniciare e ridiamo come due bambini. Riprendiamo la bolina e lo rifacciamo.
Nei giorni successivi esco anche con Manuel un paio di volte ma non troveremo lo stesso vento, anche se le planate non mancheranno.
Questa è Vindicio e questo è il 470.
Eh già...


Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...