martedì 1 settembre 2015

Lo Stagnone di Marsala

I primi a venirci furono i Fenici  - che ne capivano - poi vennero i Greci, gli Arabi e i Romani. Questo è uno di quei posti speciali che uniscono una storia millenaria e quasi sconosciuta a un paesaggio che ti ruba gli occhi.
Lo specchio d’acqua dello Stagnone è compreso tra Marsala e l’aeroporto di Trapani Birgi ed è caratterizzato da fondali molto bassi fino a massimo 1,5 - 2 metri mentre presso la riva ci sono non più di 20 - 30 cm.
Al suo interno ricomprende le isole di Mozia (San Pantaleo) e Santa Maria  che fanno parte di una riserva naturale regionale. Proprio di fronte si staglia netto il profilo di Favignana.
  
La laguna si è formata per l’azione delle correnti sottomarine che risalgono questo versante della Sicilia e che hanno depositato nei secoli milioni di tonnellate di sabbia che ha progressivamente chiuso il lato Nord, fino a rendere difficile il ricambio dell’acqua marina che è diventata più calda e stagnante. Non a caso quindi, per lunghi secoli, l’attività economica principale dello Stagnone è stata l’estrazione del sale attraverso le Saline, facendo evaporare l'acqua incanalata in una lunga teoria di vasche successive, per poi raccogliere alla fine il sale che si depositava sul fondo. Il pompaggio dell'acqua marina e la macinazione erano svolte per mezzo di mulini, alcuni ancora funzionanti, che rendono il paesaggio unico con questo contrasto tra il bianco assoluto del sale e il blu del mare increspato dal vento.


Proprio il vento è l’altro elemento caratteristico della laguna. Il vento che soffia quasi costantemente e con incessante energia dal mattino al tramonto, trasporta il profumo del mare e dei limoni, mitiga il caldo estivo e infonde energia per quasi tutto l’anno. “Pulcherrima sed ventosa” scriveva Cicerone di questo lembo di Sicilia, ma proprio il vento ha portato qui prima gli scafi dell’America’s Cup nelle acque di Trapani e poi le più agguerrite classi veliche, dai catamarani fino ai modernissimi kitesurf che allo Stagnone hanno trovato casa. Infatti da alcuni anni il litorale nord di Marsala è diventato il luogo d'incontro per kiters provenienti da ogni parte del mondo, grazie al vento teso e all’assenza di onda, condizioni ottimali per qualunque livello di preparazione. Una buona scuola (per esperienza diretta) è lo Jamakite (“da Lucio”, se chiedete indicazioni) dove simpatia, bravura e disponibilità sono presenti in grandi quantità, proprio come il vento che da maggio a settembre soffia da Nord puntuale e costante fino a 20 – 25 nodi.


giovedì 14 agosto 2014

Salento, il giro del tacco



 
Se l’Italia è una penisola, la Puglia è la penisola della penisola e il Salento, cioè la provincia di Lecce nel sud della Puglia, è la parte più meridionale dell’Italia meridionale. Appunto il tacco d’Italia, terra di ulivi e vino, terra di confine, terra di vento, circondata da tre lati da un mare che cambia nome ma resta di una bellezza che nessuna fotografia può restituire.

È di questo che vi voglio raccontare, un giro da fare in auto lungo la strada costiera in pochi giorni o in barca avendo un po’ di tempo a disposizione.

Iniziando da Gallipoli, la prima cosa che lascia senza parole è proprio il mare, con un’acqua dai mille toni di azzurro e incredibilmente trasparente.

Il nome della città deriva da Kale Polis, la città bella, secondo l’etimologia più accreditata. Intorno al 250 a.C. fu conquistata dai Romani che ne svilupparono le potenzialità commerciali e militari attraverso l’ampliamento del porto e la costruzione di nuove strade. L’inizio del centro storico è segnalato da lontano dalla presenza di un assurdo grattacielo costruito proprio ai piedi del ponte che conduce alla città vecchia. L’edificio più interessante è il Castello Angioino, totalmente circondato dal mare e recentemente restaurato, che è visitabile e presenta imponenti sale interne e spettacolari vedute panoramiche dagli spalti. Altro edificio degno di visita è la Cattedrale di S. Agata del XVII secolo, con una bellissima facciata barocca, che conserva al suo interno numerosi quadri e reliquie di santi. A partire dalla Purità, una piccola caletta nel centro storico, seguendo il lungomare, si arriva Lido San Giovanni, la prima tappa dell'affollatissima spiaggia di Gallipoli. Gli stabilimenti balneari vanno poi diradandosi in direzione di Punta Pizzo, sperone che chiude a sud il golfo e assicura un mare quasi sempre piatto anche con vento teso. La spiaggia appartiene al “Parco Naturale Isola di Sant'Andrea litorale di Punta Pizzo”. Il Parco Naturale ha un’estensione di circa 685 ettari e si estende in particolare nell’area di Gallipoli con vegetazione tipica della macchia mediterranea.

L’isola di Sant’ Andrea di Gallipoli dista circa un miglio dal centro storico ed ha una estensione di circa cinque ettari. In passato gruppi di greggi venivano traghettati sull’ isola per pascolare, perché si diceva che la corta erba, che cresceva spontanea sull’ isola, migliorasse la qualità ed il sapore delle carni del bestiame.

Continuando verso Sud è d’obbligo una sosta alle spiagge di Marina di Pescoluse, conosciute come le “Maldive del Salento”, una lunga striscia di sabbia, preceduta da una piatta distesa di terra rossa, che si affaccia su un mare di spaventosa bellezza.

Anche più a Sud, a Torre Vado, il mare resta bello e assisto per la prima volta a un fenomeno meteo singolare, un vortice di polvere.

La dinamica è molto semplice: a causa del forte riscaldamento del suolo (appunto una spiaggia d’estate) l’aria tende a salire velocemente e viene spinta verso l’alto dall’aria più fredda e umida che viene dal mare. Si forma una tromba d’aria (vortice di polvere) di piccole dimensioni e poca energia, non associata a nuvole o temporali, che dura pochissimi secondi. Appena si interrompe il moto convettivo innescato dal riscaldamento del suolo la tromba d’aria scompare. Infatti il vortice si forma all’improvviso in spiaggia, sulla sabbia rovente, abbattendo alcuni ombrelloni e portandone uno con sé insieme ad un materassino gonfiabile e alcuni teli da spiaggia, e si dirige verso il mare. Appena a contatto con l’acqua del mare molto più fredda della sabbia, perde energia e si esaurisce in meno di un minuto, lasciando cadere subito i teli mentre il materassino continua a rimbalzare sull’acqua per qualche decina di metri. L’ombrellone invece cade pian piano in acqua, scendendo in perfetta verticale come in un quadro di Magritte.

Bello, un po’ di spavento sul momento, ma niente di pericoloso.

Andando ancora più a Sud si arriva al punto più estremo, Santa Maria di Leuca, dove inizia il grande Parco naturale regionale della Costa Otranto - S. Maria di Leuca che si estende per 60 km lungo la costa orientale salentina. Comprende alcune delle località turistiche più rinomate del Salento: un percorso affascinante e ricco di storia da Santa Maria di Leuca, limite meridionale della penisola, ad Otranto, la città più orientale d’Italia.

Secondo una leggenda Santa Maria di Leuca sarebbe stata il primo approdo di Enea; successivamente sarebbe approdato qui San Pietro, il quale, arrivato dalla Palestina, iniziò la sua opera di evangelizzazione per poi giungere a Roma. Il passaggio di San Pietro è anche celebrato dalla colonna corinzia del 1694 eretta sul piazzale della Basilica, recentemente ristrutturata.

A Punta Meliso, dove sorge il faro, viene posto il punto di separazione fra il mar Adriatico e il mar Ionio. In realtà, il confine ufficiale, oltre che naturale e storico, fra i due mari è dato dal Canale d'Otranto, ossia lo stretto di mare compreso fra il punto più a est d'Italia (Punta Palascia ad Otranto) e Capo Linguetta in Albania.

La strada litoranea che si snoda a strapiombo sul mare azzurrissimo lungo tutta la fascia costiera mentre si risale verso Otranto è di sicuro una delle più belle in Italia. La struttura geologica di questa parte di Salento regala, oltre a paesaggi mozzafiato, numerose testimonianze di un passato che si perde nella preistoria.

Grotta della Zinzulusa
Nei presi di Castro si trovano la grotta dei Cervi e la grotta Zinzulusa, in cui sono stati rinvenuti resti del paleolitico e del neolitico. Nella prima, protetta da una cancellata, ci sono tracce di arte parietale con graffiti databili alla preistoria, mentre nella seconda, accessibile anche dal mare, sono interessanti le grandi stalattiti che pendono dal soffitto e che danno il nome alla grotta (in dialetto significa grotta “stracciona” per le stalattiti che pendono dal soffitto come stracci appesi).

Il sistema di avvistamento costituito dalle torri costiere del ‘500 e che interrompono di continuo il paesaggio, è quasi intatto, un po’ come sulla costiera amalfitana e nel Cilento. Queste torri, qui come nel resto del Regno di Napoli, costituivano il sistema difensivo e di comunicazione lungo l’intera fascia costiera, dalla Puglia alla Calabria e dalla Sicilia alla Campania, e furono costruite per arginare le incursioni saracene. Da ogni torre era possibile scrutare il mare e vedere le due torri adiacenti con cui comunicare di notte con i fuochi e di giorno con segnali di fumo o con segnali luminosi. Di solito l’accesso era in alto, perché più facilmente difendibile ed ogni torre aveva una provvista di acqua e cibo per resistere ad eventuali assedi.

Durante il giro numerose sono le tracce di un passato più prossimo: masserie fortificate e splendide ville nobiliari, come a S. Cesarea Terme dove ne scambiamo una con una moschea, testimoniano, nei loro molteplici stili architettonici, la storia, la vocazione e l’importanza strategica di quest’area.
 
Cattedrale di Otranto

Il viaggio si conclude ad Otranto, imponente nel suo sistema difensivo ben visibile dal mare. Nel corso dei secoli numerosi sono stati gli interventi per rafforzare le mura ed il castello, proprio per le continue minacce provenienti dal mare e per l’importanza di Otranto come porta d’Oriente. Il castello di Otranto, che diede il nome al primo romanzo gotico della storia, è in stretta relazione con la cinta muraria con cui forma un unico apparato difensivo. Fu edificato nel luogo in cui si ergevano delle fortificazioni risalenti al periodo della dominazione sveva con l'aggiunta dei ritocchi operati dai turchi e dagli aragonesi.


Una visita è doverosa anche per la Cattedrale dell’Annunziata, edificata sotto la dominazione normanna e ultimata nel XII secolo. Sorge sui resti di un tempio paleocristiano, ed è stata consacrata il 1º agosto 1088. Fortemente rimaneggiata in seguito alle devastazioni turche del 1480, dove in segno di spregio fu trasformata in una stalla, conserva all'interno un grande mosaico sul pavimento, considerato un capolavoro dell'arte medievale. Realizzato dal monaco Pantaleone tra il 1163 e il 1165, il mosaico, che si estende lungo le tre navate, presenta un maestoso Albero della Vita con temi tratti dall'Antico Testamento, dai vangeli apocrifi, e dai temi cavallereschi e fantastici dell’epoca. Nella cattedrale sono inoltre conservate le reliquie dei Santi Martiri di Otranto, di recente elevati agli altari da papa Francesco, le cui ossa sono esposte in una cappella laterale.

Resta il tempo per un salto in spiaggia nei pressi dei laghi di Alimini, dove la tramontana si allinea alla costa e raramente scende sotto i dieci nodi. Da lontano vedo le ali dei kiters con il loro caratteristico ciondolio che bordeggiano al traverso prima allontanandosi dalla spiaggia per poi strambare e tornare indietro.

Si, questa terra è veramente eccezionale. Come il mare.


lunedì 4 agosto 2014

Conosco delle barche

Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.


Conosco delle barche che si graffiano un po'
sulle rotte dell'oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.


Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.

Jacques Brel


P.S. Grazie a Edo che mi ci ha fatto pensare

giovedì 26 settembre 2013

Vince Oracle, la Coppa è finita e gli amici se ne vanno

"Impossible is nothing". Deve proprio essere questo che si sono ficcati in testa nel team di Oracle un paio di settimane fa. Nei prossimi giorni si sprecheranno i superlativi e le iperboli ma, sin da ora, non c’è dubbio che si tratti della rimonta più clamorosa nella storia di tutti gli sport.
Dal punteggio di 8-1 a favore di Team New Zealand, che ha avuto a disposizione ben otto match point per portare la coppa a casa, il team di Larry Ellison è riuscito a rimontare clamorosamente fino al punteggio di 8-8 e poi a vincere la 34° edizione dell’America’s Cup.
Nella regata di ieri gli americani hanno dimostrato una supremazia tenica, tattica e mentale che ha schiantato i pur bravissimi kiwi. Dopo una partenza pari, alla prima boa Dean Barker (ETNZ) passa con una manciata di secondi di vantaggio su Jimmy Spithill (ORACLE) e riesce a mantenerlo fino al cancello di poppa. Nella bolina successiva Barker riesce a resistere fino a metà lato per poi cedere il passo, su un incrocio mure a dritta, ad Oracle che indovina il giro di vento e allunga, incrementando via via il vantaggio fino a tagliare la linea del traguardo con quasi un minuto di anticipo sui demoralizzati neozelandesi. E’ stato il colpo del KO inferto da Spithill che, non a caso, è davvero un pugile.
Possiamo solo aggiungere che l’equipaggio USA (con timoniere australiano, tattico inglese e skipper neozelandese) è riuscito anche ad annullare l’handicap iniziale di -2 punti inflittogli dai giudici (giustamente!)per aver apportato alcune modifiche ai propri AC45 (classe one design)che hanno partecipato ai circuiti preliminari dell’America’s Cup.
Adesso che la Coppa è finita è possibile ripercorrere alcuni suoi momenti provando a fare un primo bilancio.

Gli AC72 sono pericolosi

A maggio, durante una semplice uscita di allenamento nella baia di San Francisco, Artemis, la barca svedese, si è ribaltata per il cedimento di una traversa. Nella scuffia Andrew Simpson, velista inglese vincitore di due medaglie olimpiche, è rimasto intrappolato sotto lo scafo per circa 15 minuti e inutili sono stati i tentativi di rianimarlo dopo che il gommone di supporto è riuscito ad estrarlo e a portarlo a terra.
Questo lutto ha segnato pesantemente il cammino della coppa per tutti i team ed è stato lo spunto per una lunga serie di raccomandazioni e di polemiche, volute dalla Guardia costiera USA e dall’organizzazione della Coppa, per rendere più sicure queste barche per i velisti che le conducono.

Già un paio di mesi prima Oracle in una scuffia aveva distrutto completamente l’ala, sempre in un’uscita di allenamento, accusando un notevole ritardo sui tempi di allestimento e negli allenamenti programmati dall’equipaggio.

Anche Team New Zealand si è preso la sua porzione di spavento, e forse anche questo ne ha determinato la sconfitta di ieri.
Una delle regate vinte da Oracle nella sua incredibile rimonta nasce proprio da un errore di manovra dei kiwi che per poco non hanno distrutto la barca. Mentre i neozelandesi stavano andando all’incrocio mure a sinistra nel lato di bolina, con l’intenzione di virare sottovento a Oracle per costringerli ad andare sulla destra del campo di regata, la fretta nella manovra non ha permesso al circuito idraulico, manovrato dai grinder, di andare in pressione e consentire la rotazione dell’ala. Così, mentre gli scafi ruotavano sotto l’impulso del timone, l’ala non è passata dall’altro lato ed è rimasta “a collo”, amplificando la leva e facendo sollevare lo scafo di dritta. I grinder, per fortuna, non hanno smesso di girare le manovelle e sono riusciti a far andare in pressione l’impianto all’ultimo momento e quindi a far girare l’ala. A quel punto lo scafo di dritta, senza più la pressione del vento, è caduto sull’acqua con violenza.
A quel punto i neozelandesi si sono ritirati per verificare l’integrità del catamarano e Oracle è andato al traguardo a vincere la prova.

Gli AC72 sono costosi

Questa doveva essere l’edizione più televisiva che si fosse mai realizzata. Le barche veloci ed in grado di correre con ogni intensità di vento dovevano garantire il rispetto dei tempi e una copertura planetaria dell’evento.
Ma qualcosa non ha funzionato.

Alla fine la sfida è stata raccolta solo da tre team che hanno dato vita ad uno spettacolo dal finale scontato: gli svedesi in ritardo nella preparazione della barca e sconvolti dalla morte di un loro compagno di squadra; gli italiani arrivati alla sfida all’ultimo momento e messi in corsa grazie alla partnership con il team neozelandese che gli ha fornito i piani di costruzione degli scafi in cambio della possibilità di allenarsi e scambiarsi dati sugli speed test; infine i kiwi, unici a costruire una sfida solida e credibile sfiorando, come non mai, la vittoria.
La Luis Vitton Cup è stata decisa da una finale senza storia, con il team Prada in grado di vincere solo una sfida contro le sette messe in fila da Dean Barker e compagni.

Ma tutto questo lo abbiamo appreso dai giornali, dalle trasmissioni in streaming o dai social network, visto che le tv che trasmettono in chiaro non hanno ritenuto appetibile il prodotto.
E’ stata, almeno in Italia, una Coppa “clandestina” che non ha attratto nè sponsor nè pubblico.
Questa formula deve assolutamente essere rivista.

Il futuro

Mentre a San Francisco sono ancora in corso i festeggiamenti altrove ci si interroga su cosa fare.
Oracle Team sarà ancora una volta il defender, ma al momento nessuno ha ancora lanciato la sfida. Patrizio Bertelli, il patron di Luna Rossa, contava sulla vittoria dei kiwi per ridiscutere insieme le regole ed era pronto sul gommone per lanciare la sfida ma è rimasto spiazzato dall’incredibile vittoria di Larry Ellison. Con i vincoli di bilancio imposti dalla quotazione di Prada nella borsa di Hong Kong, ci penserà bene prima di svenarsi ancora per far correre la sua Luna.
Ancora peggiore è la situazione di Emirates Team New Zealand, uscito snervato e surclassato dalla terza finale persa che ne segna la fine agonistica e tecnica dopo un decennio ad altissimo livello. La vittoria avrebbe portato un volume di affari pari ad un punto del Pil per la Nuova Zelanda, cosa su cui ora non potrà contare e che renderà difficile anche la ricerca di nuovi sponsor.

Probabilmente ci dovremo abituare a dei nuovi protagonisti.

Larry Ellison è stato di recente riconosciuto come il terzo uomo più ricco del mondo e di sicuro metterà tutto il suo peso anche nella difesa della 35° America’ Cup.
China Team ha partecipato al circuito degli AC45 negli ultimi due anni e può mettre insieme le risorse economiche per ritagliarsi un ruolo importante nella prossima edizione.
L’Inghilterra ha talenti enormi nel mondo della vela e aveva messo insieme un team (Team Origin) dalle prospettive interessanti. Ora, se si opterà per budget più limitati, può anch’essa allestire un team forte e competitivo.
La Germania nel passato ha ben figurato nelle regate di selezione tra gli sfidanti e, tra le economie europee, è di sicuro quella che ha minori difficoltà a mettere insieme un budget adeguato.
Aria di sfida si avverte anche dal Medio Oriente, con cui Russell Coutts sta costruendo relazioni, e forse dalla Russia, che nelle più prestigiose regate d’altura sta cominciando a dire la sua.

Insomma, il futuro è ancora da scrivere, ma mi sbilancio a prevedere che le prossime barche saranno molto diverse da quelle viste a San Francisco e nuovi team si imporranno all'attenzione.

E’ finita la Coppa America.

Aspettiamo la prossima.



venerdì 13 settembre 2013

Il lungo viaggio delle papere gialle


Il 10 gennaio 1992 la Ever Laurel, una nave portacontainer diretta a Tacoma, si imbattè in pieno Oceano Pacifico, in una burrasca che ne consegnò il nome alle cronache e forse alla storia.
Infatti in quell’occasione la nave perse 3 container contenenti 29.000Friendly Floatees”, giocattoli galleggianti di gomma a forma di castori rossi, tartarughe blu, ranocchie verdi e papere gialle, appena imbarcati a Hong Kong e che iniziarono il loro stupefacente viaggio.
Quello che poteva essere l’ennesimo rilascio in mare di gomma e plastica inquinante fu utilizzato da due oceanografi, Curtis Ebbesmeyer e James Ingraham di Seattle, per studiare le correnti oceaniche.

Da allora, attraverso un sito web, Ebbesmeyer e il suo collega Ingraham, raccolgono tutte le segnalazioni degli avvistamenti dei giocattoli nei vari paesi, tracciando nel tempo una mappa delle correnti che dall’oceano Pacifico raggiungono l’Atlantico, mappa basata su un modello matematico che viene in continuazione ridefinito grazie ai ritrovamenti.

Si calcola che circa diecimila esemplari si siano diretti a Nord, costeggiando l’Alaska per poi rimanere a rigirarsi tra le correnti circolari del Nord Pacifico, arrivando nel 1995 nello stretto di Bering. Sono rimasti in quelle acque a lungo e solo nel 2003, dopo aver circumnavigato la Groenlandia sono arrivati sulla costa nord orientale degli Stati Uniti per arrivare poi sulle coste inglesi.
Gli altri 19.000 animaletti di gomma sono restati nel Pacifico: alcuni prima di arenarsi hanno ruotato nell’oceano tre o quattro volte, seguendo le correnti da Est ad Ovest, altri si sono mossi verso Sud, arrivando in Australia o in sud America disperdendosi in gran numero nell’oceano Artico o nel sud Pacifico.

Al momento si stima che la maggior parte dei Friendly Floatees siano ancora alla deriva e hanno viaggiato per più di 60.000 chilometri senza mai toccare terra, record che pochi marinai possono vantare.

Gli studi sul floatsam (nome generico dato agli animaletti alla deriva) hanno permesso di scoprire i segreti delle correnti circolari oceaniche che sono generate dalle differenze di pressione (in certe zone la pressione dell’aria è così forte da causare un abbassamento del livello dell’acqua in modo da spingere l’acqua circostante a cercare di riempire il dislivello), da cambiamenti di temperatura e dal moto rotatorio terrestre.
Il floatsam ha una doppia natura: da una parte è una minaccia per gli animali che se ne cibano, come tutta la plastica che è in mare, dall’altra è un’opportunità di diffusione per molluschi e crostacei che vi si attaccano venendo trasportati in altre parti dell’oceano.

Le papere gialle sono diventate bianche a causa dell'esposizione ai raggi solari, mentre gli animaletti verdi, blu e rossi hanno finora mantenuto il colore originale.
I Friendly Floatees sono diventati oggetti per collezionisti, raggiungendo in alcuni casi quotazioni superiori ai mille dollari.
Trattandosi di oggetti di gomma e plastica, si stima che possano continuare a girare per gli oceani ancora a lungo, avendo un tempo di degradazione lunghissimo e sicuramente superiore ai 100 anni.

Le informazioni che gli oceanografi ne potrebbero ricavare sono preziose e dunque, anche se difficilmente ne vedremo nel Mediterraneo, quando siete in mare ... occhio alla papera!

lunedì 26 agosto 2013

Un giro a Isola Capo Rizzuto


Le Castella
Mentre mi avvio verso il porto di Crotone un cartello mi informa che mi trovo nell’Area Marina Protetta più grande del Mediterraneo. Non ho motivi per mettere in discussione la cosa e, in effetti, 42 chilometri di costa sotto tutela ambientale sono davvero una gran cosa ma, come dice qualcuno, le dimensioni non contano.

Dico sul serio.

Quello che veramente importa è l’attività di tutela e vedo intorno tanti segnali contrastanti che non mi fanno ben sperare.
La riserva, che esiste da oltre vent’anni, comprende i due comuni di Crotone e Isola Capo Rizzuto, che dà il nome all’area e si estende su una superfice di quasi 14.000 ettari.

Partiamo e davanti ai nostri occhi scorre la città di Pitagora e Milone, ricca di storia e con un lungomare sabbioso e balneabile come ne restano ormai pochi. Nei giorni della mia permanenza si sono disputate le regate del Campionato di Distretto della classe Laser, ed è stato bello vedere tante barche e tanti ragazzi affollare la spiaggia e i marciapiedi assolati, aspettando il vento, facendo amicizia o commentando i risultati. 
Piattaforma ENI a Crotone

La città restituisce un’immagine di decadenza, con insediamenti industriali fermi e improduttivi e un’architettura che ha, tra le costruzioni più significative, qualche testimonianza dell’epoca fascista. Per contro il mare sembra bello con l’eccezione di alcune bruttissime piattaforme a poche miglia della costa, che sembrano orribili ragni pronti a ghermire chi si avvicini.

Tutto ciò sembra voler rappresentare le contraddizioni storiche e politiche di Crotone: prima culla della filosofia e della medicina, con quasi centomila abitanti, uno dei più grandi centri della cultura greca come testimoniato anche, a pochi chilometri di distanza, dalle rovine del tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna; poi presidio italico contro l’espansione dell’impero turco e dopo solo un ruolo marginale nella nascita dello stato unitario; oggi ostaggio di scelte politiche sbagliate, che hanno collocato in prossimità di un luogo protetto una serie di impianti altamente inquinanti a mare e a terra.

La costa è caratterizzata da vaste distese di macchia mediterranea intervallate da chiazze di roccia calcarea, sabbia e argilla. Mi raccontano di avvistamenti di delfini e tartarughe che sfruttano le spiagge protette per deporre le uova, della presenza di pesci pappagallo e di un pesce balestra avvistato di recente, tipici dei mari tropicali e chiari indicatori di innalzamento della temperatura dell’acqua. Inutile dire che ciò fa solo crescere il rammarico per non aver programmato immersioni.

Capo Rizzuto
Dopo un po’ compare Isola Capo Rizzuto, l’altro comune della riserva marina, zona prevalentemente a vocazione turistica, con la presenza di alcuni grandi villaggi e numerose villette.
Il nome richiama alla mente la leggenda e la mitologia (sembra che qui vi fosse l’isola di Calipso) ma forse, più concretamente, era il luogo in cui venivano “isolati” i vecchi, i bambini e le donne durante le incursioni saracene, trovandosi a circa quattro chilometri dal mare.

Continuando verso ovest, dopo il capo, c’è la bellissima spiaggia di Soverito, a mio avviso una delle più belle d’Italia, il cui bosco sovrastante è stato sfregiato da un incendio feroce di alcuni anni fa che ancora ne deturpa la bellezza per chi guarda dal mare. E’ una delle poche spiagge quasi incontaminate e nelle cui acque due mesi fa sono stati rinvenuti due cannoni “petrieri” del XV secolo a meno di 10 metri di profondità e a 50 metri dalla battigia.
Secondo le denunce di Legambiente sia la spiaggia che il bosco sono a serio rischio di scomparsa, e non è difficile crederlo, a causa della continua cementificazione della costa ad opera dei grandi insediamenti turistici nati ai suoi margini. 
Pesca controllata nell' A.M.P.
Soverito, purtroppo, non riesce ad ottenere la necessaria priorità dagli amministratori locali nonostante l’area marina sia stata istituita anche per salvaguardare questo angolo di paradiso in cui vi è una nutrita presenza di volpi, tartarughe e uccelli migratori. L’acqua è magnifica e forse questa è la parte meglio preservata dell’intera area protetta.

A due miglia verso ovest si staglia il profilo del castello aragonese di Le Castella. Si tratta di una fortificazione del 1200 che però presenta stratificazioni di mura greche e romane. Una leggenda narra che l’isolotto, su cui poi sorgerà il castello, fu scelto da Annibale come testa di ponte per le sue truppe incalzate dai Romani e costrette a tornare a Cartagine. In verità il castello, che ricorda vagamente Castel dell’Ovo a Napoli, nasce come insediamento militare e fa parte della rete di torri di avvistamento della zona insieme a quelle di Capo Rizzuto e Capo Colonna. Fino a qualche decina di anni fa era su un isolotto staccato dalla terra ferma mentre oggi è collegato da una sottile lingua di terra realizzata in occasione del film “L’Armata Brancaleone” di Monicelli visto che numerose scene sono state girate proprio in questo castello.
A poche centinaia di metri a sud del castello, a circa 15 metri di profondità, c’è il relitto di una grande nave da carico e un presepe subacqueo. Scoprirlo e rammaricarsi ancor di più per non aver portato il brevetto e l’attrezzatura è tutt’uno, soprattutto venendo a sapere anche di alcuni itinerari archeologici e di altri relitti facilmente visitabili.
Qualche residuo di schiuma e varie schifezze in acqua testimoniano lo scarso controllo degli scarichi a mare delle tante ville abusive costruite nella riserva e aggiungono un’ulteriore penosa testimonianza dell’incapacità della politica a prendersi cura del mare.

Peccato.


Una semi-isola, il filo dell’acqua e l’isola dei genovesi

C’è un angolo di Sardegna che conserva un carattere e una personalità fuori dall’ordinario. Lontano dagli usuali giri turistici, lontano...